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In fondo, i titoli sarebbero 9 e mezzo perché la stagione 2018-19 è stata vissuta dentro la casa della Signora solo per un breve tratto: già il 25 ottobre lasciava Torino e meno di due mesi dopo stringeva la mano di Zhang. Gli almanacchi, però, non mentono mai: quello scudetto è anche “suo” perché la squadra poi campione con Allegri è stata comunque costruita sotto la supervisione di Marotta, contrario dall’inizio all’azzardo (economico e tecnico) di CR7. Dietro al no detto alla superstar portoghese c’era, però, il sì a un metodo di lavoro, consolidato nel tempo e che ormai in viale della Liberazione hanno digerito: bisogna crescere con costanza, ma è vietato fare il passo più lungo della gamba.
Dalla mossa bellica di Conte, generale per il rilancio sia a Torino che a Milano, alle scelte più rasserenanti di Allegri e Inzaghi per allungare il ciclo vincente dopo i tormenti di Antonio: c’è un preciso filo in questi anni, il dirigente politico ha sempre mediato con l’allenatore del momento. È sempre il tecnico la figura al centro del villaggio, da “picconare” se i risultati non arrivano come nello scorso campionato, ma mai da cacciare dal tempio: dai tempi di Zamparini a Venezia, il “Kissinger” di Varese ha cancellato la parola “esonero” dal dizionario. Lo sa Allegri, che sembrava perduto dopo l’ennesima caduta a Sassuolo nel 2015-16 e finì per trionfare ancora, e lo sa pure Conte, “trattenuto” dopo mille turbolenze nell’estate 2020. Con questo decimo titolo in arrivo, Marotta stacca Giampiero Boniperti, che da presidente operativo e cannibale alla Juve si era fermato a nove titoli", sottolinea Gazzetta.
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