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Materazzi: “Lukaku fischiato e Mou no? Facile da capire. Stiamo ancora aspettando Romelu”

Intervistato da La Gazzetta dello Sport, l'ex difensore dell'Inter ha parlato del rapporto che lega i nerazzurri a José Mourinho

Intervistato da La Gazzetta dello Sport, l'ex difensore dell'Inter Marco Materazzi ha parlato del rapporto che lega i nerazzurri a José Mourinho

«Non facciamo paragoni, per favore».

Nessuno ha pensato di farne. Però chi meglio di lei, Marco Materazzi, ci può aiutare a capire?

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«Perché San Siro fischierà Lukaku e non hai mai fischiato Mourinho?».

Intuitivo...

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«Non è così difficile, mi pare. Bastava dirlo: me ne vado perché... È stato bello, grazie di tutto, eccetera eccetera. Bastava dirlo prima, soprattutto».

Neanche Mourinho lo aveva detto, in realtà.

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«Pubblicamente no, ma ci giocavamo una Champions, non un torneo amatoriale. E poi a chi di dovere, il presidente Moratti, in pratica lo aveva detto. E anche a noi: se ci si conosce non servono discorsi solenni, bastano gli sguardi, le non risposte».

Dunque è il silenzio che non viene perdonato a Lukaku.

—  

«Il silenzio e i suoi tempi. Dice che quando parlerà si capiranno tante cose: speriamo, ma noi tifosi interisti stiamo ancora aspettando. Io, se avessi fatto una scelta come la sua, avrei già avuto bisogno di spiegare. E avrei spiegato, da un pezzo. Perché ci sono cose che non serve dire, come quella notte a Madrid. Ma altre invece è importante dirle, spiegarle».


Quella notte a Madrid, ovvero uno con la faccia sulla spalla dell’altro a piangere?

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«Esatto, zero parole. Ci eravamo già detti tutto: anche prima che mi mandasse in campo per quei pochi minuti della finale».

Pochissimi, in realtà.

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«Guardi, valeva la pena di essere allenato da Mourinho, in quella Inter, anche per giocare un solo minuto in tutta la stagione. Per me è sempre stato tutto chiarissimo da quando parlai con lui, prima di allungare il contatto fino al 2012. Sapevo qual era la mia posizione: avrei giocato poco, diciamo il giusto, ma anche in gare decisive come la finale di Coppa Italia, e però mi sarei sentito importante anche seduto in panchina vicino a lui».

Dunque ci ricorda cosa Mourinho le disse all’orecchio in campo, la sera del 22 maggio 2010?

—  

«“Marco, eri in campo nella puta finale del Mondiale e sei in campo in questa puta finale di Champions”. Ci ho provato per l’ultima volta, con la maglia in bocca per non far capire cosa gli stavo dicendo: “Resta, nessuno ti amerà come è successo nella nostra famiglia”».

Secondo lei Mourinho è stato mai più amato come all’Inter?

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«Non sono nessuno per dirlo. Al massimo posso dire che probabilmente non è stato più amato in quel modo. Perché quei due anni sono stati una storia unica: non per forza migliore di altre, ma unica. E forse irripetibile».

Ci dice in poche parole cosa c’è di irripetibile in Mourinho?

—  

«Le dico cosa è sicuramente “da Mourinho”. La capacità di saper essere tutto: allenatore, padre di famiglia, amico con cui puoi scherzare, ma che si incazza se non ti comporti da amico. Di creare empatia. La capacità di non fare figli e figliastri: affrontava a brutto muso soprattutto quelli forti di carattere. Di non accettare compromessi. Di toccare i tasti giusti: i tuoi, quelli più profondi, e soprattutto quelli dei “nemici”. E di moltiplicare le energie, fino a farti sentire forte, più forte di tutti. Può bastare?».


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