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Però tutte queste partite senza sosta, le competizioni che aumentano, i format giganteschi: si può fermare questo trend?
«Penso che giocare spesso non sia un problema per la salute dei giocatori, perché la partita sostituisce l’allenamento. Anzi è anche meglio».
Sofferenza e calcio, sembra che l’abbinamento la infastidisca.
«Il termine che dà più fastidio è sacrificio. Lo usano un po’ troppo anche tecnici di primo piano come Conte e Thiago Motta. Ma il sacrificio è fare lo straordinario in un lavoro normale per comprare i libri di scuola ai propri figli».
Insomma, i calciatori non hanno neanche il diritto di lamentarsi?
«Certo che ne hanno il diritto, sono stato calciatore anche io. Solo che lo fanno sempre dopo aver messo al sicuro la firma sul contratto».
Come si può risolvere la questione?
«Le rappresentanze sindacali devono trovare un equilibrio tra calendario e guadagni. Riduciamo le partite, va bene, però bisogna anche combattere la follia di certi contratti. In Italia questo discorso lo può portare avanti l’Assocalciatori, solo che non vedo la statura per modificare un mondo dominato dagli interessi. Ad esempio: si gioca troppo? E allora mettiamo un freno alle infinite e remunerative trasferte intercontinentali per le amichevoli estive».
Una malignità. Mica sarà invidioso del ricco calcio di oggi?
«Neanche per sogno. Ho giocato in squadra con Maradona, Platini e Zico, ho affrontato da avversario Falcao, Krol, e sicuramente ne me dimentico qualcuno. Aver fatto parte di quel calcio non ha prezzo».
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