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Meani: «Isolato dal Milan? All’inizio no. I giocatori scherzavano: “Occhio alle manette”»

Leonardo Meani racconta in un'intervista al Corriere della Sera come è cambiata la sua vita con Calciopoli

Sabine Bertagna

Il Corriere della Sera di Leoardo Meani, ristoratore ex addetto agli arbitri del Milan e unico vero coinvolto per la società rossonera nello scandalo di Calciopoli, scrive che per il Milan fu l'unico a pagare. Delle sue intercettazioni con Galliani, Bergamo e Collina è pieno il web. La pena? "Ne uscì al terzo grado del processo sportivo con due anni e due mesi di inibizione, più altri tre mesi per il cosiddetto Calciopoli bis, mentre nel processo penale di Napoli fu assolto per prescrizione in Appello."

In un'intervista al Corriere Meani si racconta dopo tanto tempo: «Durante i processi mi hanno dipinto come un delinquente. Arbitri e assistenti erano persone che conoscevo da tempo, ho fatto a lungo l’arbitro anche se mi sono fermato ai Dilettanti. Con i guardalinee Babini e Puglisi ero amico. Collina l’ho conosciuto a un raduno. Ci sentivamo spesso. Le intercettazioni distorcono tutto perché chi deve interpretare non conosce il contesto in cui due persone che si frequentano parlano tra loro. Tra gli uomini di calcio è così: le spariamo grosse, ma sono solo boutade."  

Un sistema malato - «Non entro nel merito. Nel mio caso è fin troppo semplice dimostrare che se anche vi fosse stato un tentativo di avere un arbitro o un assistente “amico“, il Milan non ne ha mai ricavato vantaggi.»

E il Milan? Fu isolato? «All’inizio no. Dovevamo andare a Parma per l’ultima trasferta di campionato. I giocatori mi prendevano in giro: “Leo, occhio che arrivano le manette." (I giocatori del Milan erano di casa nel suo ristorante) Con Galliani avevo rapporti cordiali. Berlusconi l’ho incrociato tre volte in tutto."

E in generale? «Prima di Calciopoli ricevevo mille telefonate al giorno. Poi, si sono allontanati tutti. Come se avessi la peste».

Alla fine pagò solo lei. L’avvocato Cantamessa, durante il processo sportivo, disse che lei “agiva per proprio conto“. Si è mai sentito scaricato dal Milan?

«Non ha senso rivangare. Sono tornato a fare il ristoratore a tempo pieno e ho abbandonato il mondo del calcio».

Non era un dirigente del Milan?

«Avevo un contratto annuale da Co.co.co».

Però andava in panchina con allenatore, riserve e dirigente accompagnatore.

«Non subito. Entrai nel Milan a metà anni Novanta, mi occupavo della terna durante le gare casalinghe ma in panchina ci andai per la prima volta con Fatih Terim nel 2001. Poi arrivò Ancelotti e ci portò in Champions. Quella che avremmo vinto a Manchester».

Calciopoli a parte, che ricordi ha degli anni al Milan?

«Dieci anni splendidi, con due scudetti vinti, una Champions, una Coppa Italia e una Supercoppa Europea. E anche cocenti delusioni. Quella maledettafinale di Istanbul. Nella rivincita di Atene due anni dopo non c’ero più. Lo scandalo era scoppiato. Ma almeno una mano a vincere gliel’ho data anch’io».

In che senso?

«Lasciamo perdere...».

(Corriere della Sera)