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Non si parlava di potere ma addirittura di strapotere. E' questa la definizione scelta per descrivere l'attività di Moggi dalla Cassazione nell'ambito del processo Calciopoli. "Più che di potere si deve parlare di uno strapotere esteso anche agli ambienti giornalistici ed ai media televisivi che lo osannavano come una vera e propria autorità assoluta". Nelle motivazioni depositate dalla Cassazione si legge inoltre dell' "irruenta forza di penetrazione anche in ambito federale" esercitata dall'ex dg della Juve Luciano Moggi.
E così, nonostante i numerosi tentativi di dissipare la realtà dei fatti, Moggi, è stato il "principe indiscusso" del processo 'Calciopoli'. Moggi ha commesso sia il reato di associazione per delinquere, sia la frode sportiva "in favore della società di appartenenza (la Juventus)", ed ha anche ottenuto "vantaggi personali in termini di accrescimento del potere (già di per sé davvero ragguardevole senza alcuna apparente giustificazione)".
E gli arbitri? L'associazione per delinquere diretta da Moggi "era ampiamente strutturata e capillarmente diffusa nel territorio con la piena consapevolezza per i singoli partecipi, anche in posizione di vertice (come Moggi, il Pairetto o il Mazzini), di agire in vista del condizionamento degli arbitri attraverso la formazione delle griglie considerate quale primo segmento di una condotta fraudolenta". Luciano Moggi, con le sue "incursioni" negli spogliatoi degli arbitri, al termine delle partite, non solo "non lesinava giudizi aspramente negativi sull'operato dei direttori di gara", ma esercitava un "potere di interlocuzione aggressiva e minacciosa, frutto soltanto di un esercizio smodato del potere": "emblematici" gli episodi che riguardarono l'arbitro Paparesta e il guardalinee Farneti".
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