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A combattere con l'inter per un posto in Champions nella prossima stagione ci sarà anche la Roma di Eusebio Di Francesco che, dopo un avvio stentato, ora sta dando grande dimostrazione di forza anche in Europa. Intervistato da La Gazzetta dello Sport, il ds giallorosso Monchi ha parlato degli obiettivi e del campionato italiano:
La Serie A è tanto distante dall’élite europea?
«Rispetto al passato ha perso un po’ di strada su Inghilterra e Spagna, ma la differenza non è tanta e le distanze si stanno accorciando. Nel nostro gruppo di Champions ci sono i campioni d’Inghilterra e l’Atletico, due finali di Champions negli ultimi 4 anni: in testa c’è la Roma. Il Napoli pur perdendo è stato incollato al City. E poi c’è la Juve, che in Europa lotta con le più grandi. A livello di tattica il calcio italiano è all’avanguardia. Magari manca un po’ di qualità ma arriverà e la distanza sarà colmata».
In Champions l’Italia può essere ambiziosa?
«Certo. Ora stanno dominando le inglesi ma per trovare una loro apparizione in finale bisogna andare molto indietro nel tempo, mentre la Juve ne ha giocate due negli ultimi tre anni. Il calcio italiano non deve fustigarsi: è li, vicino alle migliori. E al Mondiale ci andrete».
È già diventato italiano. Il bilancio di questi 6 mesi?
«Sapevamo che sarebbe stato un anno particolare. Sapevo già dal primo giorno che Spalletti, che ha fatto un gran lavoro, sarebbe andato via. Poi sono partiti giocatori come Salah, Rüdiger e Paredes e si è chiusa la carriera del giocatore più importante della storia. Insomma, tanta gente nuova, compreso un d.s. non italiano. La prospettiva era complicata, ora possiamo essere molto contenti. Però bisogna essere ambiziosi e pretendere di più. Bisogna trovare la stabilità interna, economica e sportiva, per non dover vendere giocatori, e quella esterna: aspirare a essere una squadra d’élite con continuità, in Italia e in Europa. Diciamo che l’Atletico Madrid è un bello specchio. Può essere che si debba continuare a vendere giocatori, ma senza aver paura: come mi è successo a Siviglia le vendite, se ci saranno, dovranno essere fatte per consolidare la posizione, non per minarla. I tifosi ci devono seguire, ma lo faranno solo se otterremo dei risultati: non vanno allo stadio per applaudire un bilancio. Se chiudo con un attivo di 45 milioni ma non ho vinto nulla, il tifoso non è contento. E io sono qui per vincere, non voglio vendere fumo».
Quindi parla di scudetto.
«Se non gli dai la carota l’asino non si muove. Perché non si può parlare di scudetto? Non siamo i favoriti, ma abbiamo il dovere di provarci. Siamo partiti in svantaggio ma pian piano stiamo arrivando al livello di Napoli, Juve e Inter. Siamo in costruzione, ma alla fine dell’opera l’edificio sarà bello».
Non ha citato la Lazio.
«Non posso dare tutti come candidati alla vittoria finale».
E il Milan? Ha fatto investimenti importanti.
«Come la Roma è in costruzione, sarebbe ingiusto appiccicare l’etichetta di favorito a una squadra che si sta facendo, anche se ha speso tanto».
Lei ha detto che se un allenatore le chiede una lampada non gli può portare un tavolino. Con Schick come la mettiamo?
«Volevamo un esterno mancino per sostituire Salah. Abbiamo puntato tutto su Mahrez, che non è venuto perché non lo volevano vendere. Non era una scusa mia, hanno detto no anche al Barcellona. Saltato Mahrez ci siamo detti: “Meglio prendere un esterno mancino a qualsiasi costo, anche se non siamo convinti e abbiamo soluzioni interne, o provare a prendere Schick che non è il profilo esatto che cerchiamo ma è un investimento per il club?”. Rinunciare a Schick per mere questioni tattiche sarebbe stato un errore. Un d.s. deve essere a metà tra tecnico e club»
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