"Ho sempre sentito la responsabilità della presidenza. La vivi tantissimo, in una maniera talmente intensa proprio perché c'è in ballo la passione della gente. I tifosi scelgono una squadra perché le vogliono bene. Per chi guida un club è una responsabilità molto più importante rispetto a chi viene scelto perché produce un buon dentifricio o una bella cravatta. Quando non sei più presidente è difficile viverla come prima. Vai un po’ meno allo stadio per rispetto di chi c’è adesso, e anche perché ti senti meno utile, anche con i tuoi errori. È vero, mi piacerebbe vedere la partita da un punto di osservazione diverso. Confondermi con gli altri tifosi: in fondo sono sempre stato uno di loro. Grande Inter? Ho un ricordo vivissimo di quella stagione, ricca di dinamiche positive. Ho ancora negli occhi i grandi sacrifici dei milanesi. Tutta gente che si era mossa con entusiasmo già nell’immediato dopoguerra. C’era il piacere di ricostruire, di ricominciare ed era una spinta a tuttii livelli, che coinvolgeva ogni categoria. Una empatia totale che aveva prodotto — perfino in un posto dove il cielo è spesso grigio — qualcosa di bello, con colori fortissimi. Milano è stata davvero uno dei motori della rinascita e anche le due squadre lo hanno rappresentato. Sono state lo specchio di una Milano sincera, ma sincera veramente, non organizzata per essere percepita come tale. Il calcio era un modo per dare felicità. L’Inter aveva un fascino particolare, era la squadra di Milano che già dal nome guardava lontano e aveva questo industriale che le voleva bene, che era riuscito a portarla in cima al mondo. Non a caso ci si ricorda di quel periodo con un aggettivo epico: la Grande Inter. Prenda il gol di Facchetti al Liverpool. C’e‘ dentro tutto: un giocatore fantastico. La Grande Inter. E in fondo anche il' sogno di Milano sul tetto del mondo."