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Mou: “I giovani vanno guidati. Non parlo mai di calcio con Dio. Ferguson…”

E’ una luna intervista in cui si racconta più come uomo forse che come allenatore. José Mourinho ha parlato con il Telegraph, che lo ha definito l’allenatore più controverso della storia del calcio, ed ecco cosa ha detto:  ZERO...

Eva A. Provenzano

E' una luna intervista in cui si racconta più come uomo forse che come allenatore. José Mourinho ha parlato con il Telegraph, che lo ha definito l'allenatore più controverso della storia del calcio, ed ecco cosa ha detto: 

ZERO IPOCRISIA - Ho un problema. Sto migliorando in tutto ciò che riguarda il mio lavoro rispetto agli inizi. C'è stata un'evoluzione sotto diversi aspetti, nel mondo in cui leggo la gara, il modo in cui la preparo, il modo di allenare, il mio metodo. Mi sento migliorato, ma c'è solo una cosa che proprio non posso cambiare, il mio modo di pormi con i media, non riuscirò mai ad essere un'ipocrita

RITUALI - Ogni mattina comincia alle 7:30 e resta per almeno due ore da solo nel suo ufficio: "Ho bisogno del mio tempo. Non sono così vecchio, a 52 anni ho almeno altri venti anni davanti per allenare, ma mi sento una vecchia volpe. Niente mi fa paura, niente mi preoccupa troppo; sembra che nulla di nuovo possa accadermi. Sono molto stabile nel controllo delle emozioni, ma ho bisogno del mio tempo per pensare. Non mi va di svegliarmi nel mezzo della notte e preoccuparmi dell'infortunio di qualcuno o della tattica per questa partita. Ho bisogno di riflettere, ho bisogno di cercare di anticipare i problemi. Ho bisogno del mio tempo". 

IL PRIMO LAVORO - Dopo aver frequentato l'Università di Lisbona ha lavorato con i ragazzi down e di quella esperienza ha detto: "Non ero tecnicamente pronto ad aiutare questi bambini. E ho avuto successo solo a causa di una cosa, il rapporto emotivo che nasce con loro.Affetto, tocco, l'empatia, solo per quello. C'era un ragazzo che ha rifiutato per tutta la vita di salire le scale. Un altro che non poteva coordinare il movimento più semplice, tutti questi problemi diversi, e abbiamo avuto successo con molti di loro solo grazie all'empatia". 

E POI... - "Dopo sono passato ad allenare i sedicenni. Ora alleno i migliori giocatori del mondo, e la cosa più importante non è che si sono preparati dal punto di vista tecnico; la cosa più importante è il rapporto che si stabilisce con la persona. Al centro di tutto però c'è il rapporto con la squadra e per avere quello tutti rinunciano a qualcosa. Non si tratta di stabilire la relazione perfetta tra me e te; si tratta di stabilire la relazione perfetta per il gruppo, perché il gruppo vince i trofei; non è il singolo che vince i trofei".

GIOCATORI E RICCHEZZE - "Troppi soldi? E 'vero! Una volta i giocatori è giocavano per essere ricchi alla fine della loro carriera. Invece oggi si aspettano di essere ricchi prima ancora di aver giocato la loro prima gara. Il pallone d'oro? Sono d'accordo con Wenger quando dice che non ama questo tipo di premio perché si tratta di valorizzare il singolo a dispetto del concetto di squadra. Per me il calcio è collettività. Quando un top player arriva c'è una squadra lì pronta ad aspettarlo. L'unica cosa che non si può dare ad un giocatore è il talento. Spesso chi ce l'ha è egoista ed è difficile fargli capire il concetto di squadra, ma se c'è una cosa a cui non rinuncerei mai è il talento di un calciatore. I giovani? Devono essere fortunati, avere i genitori giusti, gli agenti giusti, la giusta educazione altrimenti non tutti hanno la fortuna di fare una buona carriera. Alcuni di loro non sanno neanche gestire i loro soldi. Quando il Porto mi ha dato i miei primi soldi importanti io ero preparato, avevo trenta anni, ero già sposato. Alcuni ragazzi non sanno come fare e noi al Chelsea abbiamo un reparto fantastico che sostiene i giocatori e si chiama Support and Welfare, li aiutano a capire come gestirsi e di questo hanno bisogno. Se mi sento un po' un padre per loro? E' un mio dovere esserlo". 

SCONFITTE E VITTORIE - "Ho imparato a convivere con entrambi, devo gestire le mie emozioni. In questo paese abbiamo così tante partite che non ci si può permettere di essere felici o demoralizzati a lungo. Ho perso 5-3, il giorno dopo ho una sessione di allenamento, e in due o tre giorni un altro incontro. Vinco 3-0 o 4-0, il giorno dopo ho un allenamento e in due o tre giorni ho un altro incontro. Devo cercare di nascondere le mie emozioni. Devo saper convivere sia con la vittoria che con la sconfitta. L'allenatore non è la persona più importante, vengono prima i tifosi, poi il proprietario del club, poi i giocatori, ma il manager è quello a cui tutti loro guardano dopo una partita, vogliono vedere una reazione, vogliono vedere stabilità e io sono bravo a tenere in equilibrio positivo e negativo".

PREGHIERE - "Credo totalmente, chiaramente. Ogni giorno prego. Ogni giorno parlo con Lui. Non vado in chiesa tutti i giorni, neanche ogni settimana. Vado quando sento che devo. E quando sono in Portogallo, vado sempre. Prego per la mia famiglia, perché stiamo tutti bene, ma confesso di non essere mai andato in Chiesa per parlare con lui di calcio. Cerco di essere una brava persona, sono un bravo familiare, un bravo amico e cerco di tenere separate vita professionale e vita privata. Mi piace lavorare con le persone che mi piacciono". 

FERGUSON - "Da un lato è l'uomo che ha provato a vincere tutto, dall'altro, un uomo con i principi, il rispetto per l'avversario e il fair play, ho trovato questi due volti in lui e adesso provo ad emularlo. Se mi sento machiavellico? No non mi vedo in questo modo, sembra che io posso avere qualcosa di machiavellico, ma sono solo delle osservazioni, non per il resto. Si ammira qualcuno quando non è più una minaccia? Non è così, elogio la gente quando lo merito, gli altri allenatori o i giocatori, mi piace dire fantastico anche all'arbitro se lo merita, anche dopo una sconfitta".