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Nespoli: “Uno come Conte serve. Quando mi chiedono del mio tifo per l’Inter…”

L'intervista della Gazzetta dello Sport all’astronauta-ingegnere nerazzurro

Gianni Pampinella

L'Inter ha un tifoso nello spazio, Paolo Nespoli. Intervistato dalla Gazzetta dello Sport, l’astronauta-ingegnere parla della sua passione per i colori nerazzurri che ha anche portato nello spazio: "Di solito gli astronauti americani portano le maglie di football, basket, baseball: si fa la foto, poi quando si torna sulla Terra la maglia viene impacchettata e data alla squadra. Io ho pensato di fare lo stesso con l’Inter. La Nasa queste foto normalmente non le pubblica per ragioni commerciali. Con me ha fatto un errore. Avevo la maglia dell’Inter mentre il comandante metteva lo stemma della missione, mi ha detto “rimani così” e immaginavo che la foto sarebbe rimasta segreta. Però la Nasa non conosceva l’Inter... e quindi ha reso tutto pubblico".

Era una maglia molto importante.

«Già, era quella post Triplete. Quando mi chiedono del mio tifo per l’Inter dico sempre che quella foto mi ha fatto diventare un dio per il 3% della popolazione e un diavolo per tutti gli altri...».

Ma un’Inter delle stelle ce l’ha?

«Ammetto di essere rimasto un po’ indietro. Penso a Facchetti, Mazzola, Corso. E poi Oriali, Zenga, Bergomi, Ronaldo. Ora però vedo che potrebbe succedere qualcosa di grande di nuovo».

Il merito dell’Inter in orbita, per molti, è di Conte. Anche per voi astronauti “l’allenatore” è molto importante.

«Certamente. La responsabilità delle missioni non è nelle mani negli astronauti. Tutto ruota attorno al direttore di volo, l’equivalente dell’allenatore di calcio. Da terra dà le istruzioni per le missioni, che poi devono essere messe in pratica. Come nel calcio: certo, c’è chi segna, però un tecnico che sa guidare i suoi uomini è fondamentale. Non conosco Conte, ma uno così serve eccome».

Conte dice che non si vince con l’io ma col noi. Succede così nello spazio?

«Sì. Non si potrebbe fare un esperimento se non ci fosse un lavoro complesso dietro. Lo stadio non è un ambiente isolato come lo spazio ma l’adrenalina è tale e quale. Certo, se sbagli un rigore non muori fisicamente ma l’errore ha un impatto incredibile sulla tua vita e su quella di tanti altri. Nello spazio hai la responsabilità per la vita tua e di chi hai attorno e per il risultato di chi ha lavorato tanto sulla missione».

(Gazzetta dello Sport)

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