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Quando l’ha chiamata l’a.d. Adriano Galliani?
—«Girava la voce, ma non ci credevo… Quando mi ha chiamato ho pensato “Mi sa che è vero allora...”. Mi ha detto “Tu sei l’allenatore del Monza”».
Si aspettava il passaggio in A?
—«Sono una persona equilibrata. Lo ero da calciatore e lo sono adesso. Quando giocavo volevo arrivare pronto allo step successivo. E così anche da allenatore. La B mi è stata utile. In questi anni mi sono preparato e quel giorno è arrivato. Se non sei pronto, torni indietro».
Che rapporto ha con la pressione?
—«La ricerco, altrimenti sarei rimasto a vivere a Miami. Il calcio mi ha dato tutto e io ho dato tutto al calcio. Faccio questo mestiere perché mi serve lo stress che la vita normale non mi dà. Mia moglie, che è la numero uno, comprende il mio spirito».
Come sarà il suo Monza?
—«Devi avere l’elasticità mentale di cambiare in base al momento e bisogna mettere i giocatori nelle condizioni ideali».
Cosa rende competitiva una squadra?
—«Il gruppo, gli uomini che lo compongono. Persone che sanno come uscire dalle situazioni difficili. E qui a Monza c’è una base solida. Il gruppo storico che direziona c’è, è super. Se poi il mercato potrà migliorarci più avanti, va bene, ma sono felice di questo gruppo».
Ha una metodologia sua nello studiare?
—«Oltre a seguire gli avversari dell’anno ne scelgo una che propone qualcosa che reputo interessante. Nella scorsa stagione ho seguito il Bayer. Xabi Alonso ha fatto un calcio di alto livello senza flessioni, disumano. Brava l’Atalanta nella finale di Europa League, li ha tritati».
La sua prima esperienza in panchina a Miami?
—«Un disastro, ho disintegrato i giocatori. Non accettavo uno stop sbagliato... Con il tempo ho dovuto uccidere il calciatore che era in me».
(Gazzetta dello Sport)
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