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Nicchi: “Serie A, gli arbitri sono pronti. Partiti bene con la coppa, ora spero che cambi il clima”

Intervistato da La Gazzetta dello Sport, il presidente dell'Aia Marcello Nicchi ha parlato della ripresa della Serie A

Andrea Della Sala

Intervistato da La Gazzetta dello Sport, il presidente dell'Aia Marcello Nicchi ha parlato della ripresa della Serie Aanche per gli arbitri e della sua speranza per questo finale di campionato:

Oggi ci siamo davvero, gli arbitri sono pronti?

«Hanno già dimostrato di esserlo. In questi mesi sono stati irreprensibili: si sono preparati, hanno lavorato secondo i piani personalizzati di allenamento, con i metodi consentiti. Quando dall’ipotesi si è arrivati alla certezza di riprendere si sono fatti trovare pronti, sani. Hanno accettato i controlli sanitari, il raduno, la preparazione e le tempistiche. E ora sono caricatissimi, vogliosi di essere i protagonisti in senso positivo di una ripartenza che dopo tante vicissitudini porti tutti ad amare sempre più il calcio, che come si è visto è mancato a tutti».

Anche a porte chiuse...

«Quando li ho sentiti, dopo queste tre partite, i nostri arbitri mi hanno manifestato una grande emozione per il fatto che si giocava e si arbitrava in un ambiente surreale: è più difficile farlo in uno stadio vuoto che di fronte a 80 mila persone. È più dura trovare la concentrazione e l’equilibrio, la giusta misura nelle interpretazioni e nel colloquio con i giocatori. Detto questo, direi che meglio non si poteva fare».

Buona la prima, quindi?

«Beh, è vero che gli arbitri hanno preso le decisioni giuste, ma c’era una collaborazione mai vista prima. Le partite che si sono giocate erano importantissime perché portavano nel mondo il modo di fare degli sportivi italiani e davanti al mondo abbiamo fatto la nostra figura».

Ma ora sarà un finale di stagione mai visto

«Questi arbitri sono preparati anche a situazioni impensabili fino a ora, come sarà questa ripresa con partite praticamente tutti i giorni».

Ha mai temuto che non si potesse ripartire?

«Sì per due motivi. Il primo è l’imprevedibilità della regressione della pandemia: i tempi li ha sempre dettati il virus, non li ha decisi certo né il mondo del calcio né la politica. E il secondo perché all’inizio c’era chi voleva lo stop, chi voleva continuare, ognuno diceva la propria».

Sarà tutto come prima o si aspetta un cambiamento?

«Mi aspetto quello che il mio ruolo impone di chiedere: le catastrofi lasciano sconvolti, poi nasce una rabbia positiva che porta a migliorare. Sono convinto che ne usciremo più cauti e più riflessivi, o almeno me lo auguro».

Ci crede davvero anche per il calcio?

«Tutti guardano al rettangolo di gioco, i primi esempi positivi dobbiamo darli dal campo. E allora basta con quelle proteste che non servono a niente. Oggi se un arbitro sbaglia, sbaglia uno-due episodi in una partita. Lasciamolo arbitrare, cominciamo a pensare che anche lui è umano. Oggi poi abbiamo la tecnologia, dalla Var alla goal line technology (non infallibile, come ha dimostrato la Premier giorni fa, ndr), che aiuta... Vorrei non vedere più i capannelli e magari qualche sorriso in più da parte di tutti, qualche pacca nelle spalle in più».