- Squadra
- Calciomercato
- Coppa Italia
- Video
- Social
- Redazione
ultimora
E' uno Stefano Okaka letteralmente scatenato quello che, quest'oggi, si è confessato sulle pagine della Gazzetta dello Sport. L'attaccante italiano, che con le sue super prestazioni in maglia Samp ha attirato l'attenzione di tante big, tra cui l'Inter, ha parlato del suo passato e del suo presente sia dentro che fuori dal campo, ricordando periodi non proprio felici della sua carriera.
Queste le parole di Okaka, un ragazzo che, finalmente, è riuscito a dimostrare tutto il suo talento da vero giocatore nel calcio che conta: "Se fossi stato bianco sarei più considerato di quello che sono: un nero deve sempre dare qualcosa di più. A Cittadella, quando andavo a scuola, mi prendevano in giro per il mio secondo cognome, Chuka. Non li picchiavo perché si sarebbero fatti male, ma ci soffrivo. Poi quando andai a Roma tutti a chiedermi l’amicizia su Facebook. Ma col cavolo, per me erano morti".
L'esperienza da giocatore del Parma è stata una delle più dure per lui. Colpa di Donadoni e della società, con Cassano unico ad aiutarlo e a proteggerlo per davvero: “Cassano era l’unico che credeva in me e mi proteggeva perché poteva permetterselo. Mi diceva sempre 'l’acqua che sta in cielo prima o poi scende, e scende forte'. A Parma mi vollero Donadoni e Leonardi, poi mi mandarono a La Spezia inspiegabilmente. Poi torno a Parma e mi fanno allenare a parte da solo. Ora li ringrazio perché altrimenti non sarei alla Samp, però a quei tempi ero arrivato a dirmi che il calcio non era la mia strada".
Infine, in altri stralci dell'intervista Okaka racconta del suo legame con la Nazionale (dopo l'esordio, con gol, dello scorso 18 novembre) e del suo carattere: "Nazionale? Io mi sento totalmente italiano. A maggio e poi 20 giorni prima della chiamata di Conte mi hanno telefonato per giocare con la Nigeria, ma ho rifiutato perché non mi sembrava una scelta naturale. Poi è arrivata la chiamata di Conte per l’Italia. Giocare per la Nigeria non la sentivo una cosa naturale, anche se il mio passato è là e oggi mi sento come un albero che non conosce le sue radici. Un giorno vorrei andare a visitare Lagos, dove sono nati i miei. Okaka giocatore? Fuori sono un bonaccione, ma sul terreno di gioco mi trasformo. Per 90 minuti odio tutti i miei avversari allo stesso modo anche se non ci litigo, non sono il tipo. Con gli arbitri è un'altra cosa: ci discuto in continuazione, li contesto. Lo ammetto, io Okaka non lo vorrei arbitrare mai".
© RIPRODUZIONE RISERVATA