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Orsato: “Voglio cambiare l’Aia. Ecco perché ho smesso. Perché non arbitravo più l’Inter? Ho…”

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Intervistato da Repubblica, Daniele Orsato spiega la decisione di ritirarsi
Gianni Pampinella Redattore 

Intervistato da Repubblica, Daniele Orsato smentisce la notizia secondo la quale sarebbe andato in Russia con l'incarico di consulente della Commissione arbitrale. "Assolutamente no. Mi era stato chiesto di collaborare come esperto arbitrale con la Federazione russa, all’interno di un panel di grande livello tecnico. Sono stato molto lusingato dall’invito. Tuttavia, alla luce della situazione socio-politica attuale e dei principi etici che mi hanno sempre guidato, sia in campo che fuori, ho deciso di non accettare. Inoltre, nei prossimi mesi desidero concentrare tutte le mie energie sulla costruzione di un progetto tecnico e associativo con l’Aia in Italia".

Sarà il primo anno senza Orsato in campo, dal 2006. Perché ha smesso se poteva ancora arbitrare?

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«Nell’arbitraggio è fondamentale mantenere elevati stimoli mentali per garantire performance di alto livello. Dopo aver raggiunto tutti i traguardi che avrei mai potuto desiderare, ho avvertito che quegli stimoli non erano più così forti. Per questo ho deciso di smettere, con l’obiettivo di cercare nuove sfide e stimoli in un altro ruolo».


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Si candida alla presidenza dell’Associazione italiana arbitri?

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«No. Io sono un tecnico. Certo oggi l’Aia è afflitta da conflitti interni tra diverse correnti politiche che poi interferiscono nella gestione tecnica. È fondamentale dare una svolta, ma guidare un’organizzazione con oltre 30 mila associati e 206 sezioni richiede un ampio spettro di competenze amministrative e organizzative. Credo che potrei dare il mio contributo solo in un progetto politico che miri a separare nettamente la gestione associativa epolitica da quella sportiva».

Quindi?

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«Il futuro dell’Aia dipende dalla capacità di trovare una nuova guida in grado di affrontare le sfide con una visione manageriale e strategica. Un uomo che comprenda le esigenze associative e abbia la capacità di realizzare progetti tecnici concreti e sostenibili. Il presidente ideale dovrebbe essere un dirigente di grande esperienza, magari non proveniente dai campi di Serie A, ma con una visione chiara del futuro dell’Associazione. L’ Aia è piena di eccellenti professionalità e io credo che alla guida serva un approccio professionale».

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Lei ha iniziato ai tempi dei movioloni. Ha finito con il Var. Che cambiamento c’è stato? E cosa pensa del Var?

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«Il Var è ormai uno strumento indispensabile per ridurre gli errori arbitrali, ma occorre continuare a costruire una generazioni di arbitri che sappiano decidere con personalità. Il Var deve aiutarli, non sostituirli. A volte la certezza non c’è neanche nelle immagini e quindi ladecisione del campo rimarrà spesso insostituibile».

L’errore che non vorrebbe rifare? E una curiosità: perché non arbitrava più l’Inter?

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«Nella carriera di un arbitro sono ovviamente tanti gli errori commessi e tutti ti lasciano dentro una certa amarezza. Non saprei indicarne qualcuno in particolare. Ho arbitrato tante volte tutte le squadre, alcune più frequentemente e altre meno. Quale sia il momento di dirigerne una piuttosto che un’altra lo decide il designatore».

 

(Repubblica)

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