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Allora è nato qualche dubbio su chi tifare...
«Certo che no, è chiaro per chi farò il tifo io: per me la Stella Rossa, assieme al Vardar, la società macedone in cui sono cresciuto, è... tutto. E non parlo solo di calcio, ma di vita. Mi ha insegnato davvero come stare al mondo. Al di là del mio tifo, è una sfida che mi dà emozioni particolari visto che ho indossato la maglia di entrambi le società: quattro stagioni da una parte e tre dall’altra, anche se con risultati ben diversi. E non solo per colpa mia...».
Ha ancora il dente avvelenato, quindi?
«Vi state sbagliando se anche voi state pensando che Darko Pancev sia amareggiato, arrabbiato e carico di odio nei confronti dell’Inter. Non può essere così. L’Inter è un grande nome da rispettare, una istituzione che è esistita, esiste ed esisterà a prescindere dalle fortune di chi ci gioca. Non posso accusarla per come sono andate le cose per me».
Allora chi accusa?
«Non faccio i nomi, ma singole persone mi hanno sabotato dall’interno. Dirigenti che occupavano posizioni altissime, inadeguati e incompetenti. Il prezzo pagato per colpa loro, non solo da me, ma anche dalla stessa società, lo si vede dal fatto che dopo è servito tantissimo tempo per tornare ai vertici. Moratti ha dovuto spendere e pazientare per 15 anni prima di cambiare davvero l’organizzazione, la cattiva atmosfera, la decadenza interna, lo spirito perdente, poi ha vinto col “maestro” Mancini. Non solo io, nella mia epoca in tanti se ne sono andati in fretta da Milano e sono riusciti a costruire belle carriere altrove».
Lei ha parlato spesso del gruppo di calciatori italiani che spingevano per fare giocare Totò Schillaci al suo posto: lo può confermare?
«Erano tutti compagni di nazionale in azzurro, poi da lì litigai con Bagnoli e con la società, ma oggi non voglio tornare su quel caso specifico. Piuttosto, voglio ricordare il grande Totò che ci ha lasciato: è un dolore, era una bravissima persona, oltre che un grande giocatore. Eravamo in competizione per una maglia, ma ci siamo sempre rispettati».
Veniamo all’oggi, che Stella Rossa arriva a San Siro?
«È una squadra giovane, affamata, con un futuro luminoso davanti. Non vi stupite se nel giro di qualche anno tornerà ai massimi livelli europei. Nei Balcani il talento non manca mai, ma la debolezza economica ha un po’ frenato gli ultimi risultati. Adesso si è investito nelle infrastrutture e questo darà presto i frutti. La squadra di Milojevic ha poi un gioco veloce, organizzato e, come da tradizione della Stella Rossa sin dalla fondazione, sempre offensivo. Vuole segnare un gol di più, non pareggiare».
Si aspetta una sorpresa?
«I favoriti sono i nerazzurri e forse stavolta sarebbe meglio accontentarsi, anche se non si sa mai... Al di là del risultato, in un grande teatro come San Siro, conterà giocare con dignità e rispetto. Tra l’altro, mancherà il migliore, Ivanic: è un fantasista delizioso che tira e sa fare assist».
Da Skopje segue ancora l’Inter?
«Non ho mai smesso di seguirla, anche se il campionato non è più competitivo come ai miei tempi. La squadra di Simone Inzaghi mi piace tanto per il suo calcio offensivo, non si risparmia, non calcola: è certamente la migliore in Serie A e sa entusiasmare. Certo, in Champions il livello si alza e la competizione si fa più difficile. Bisogna sempre scontrarsi con giganti come Real, City e Bayern».
Chi sono i suoi giocatori preferiti nei nerazzurri di oggi?
«Un goleador vero come Lautaro mi piace tantissimo. La Stella Rossa deve stare molto attenta a lui, anche se è fortunata perché non ci sarà Barella. In questa squadra, però, ci sono tante fonti di gioco importanti, da Calhanoglu in mezzo a Dimarco sulla fascia. Sfidare giocatori di così alto livello sarà una ispirazione per i ragazzi serbi».
Una volta per tutte, cosa è oggi per lei l’Inter?
«Uno sbaglio. Diciamo così, la decisione di firmare non è stata la migliore della vita di Pancev. Vi assicuro, in quel momento stavo benissimo, mi volevano tutti i top club d’Europa. Anche la situazione esterna mi ha condizionato: ero abituato a pensare soltanto al calcio, ma nessuno può restare indifferente a una guerra come quella che combattevano i nostri popoli nei Balcani. Un altro problema è che da Belgrado non sapevo davvero niente dei club stranieri: non avevo la più pallida idea di come giocasse l’Inter, di che atmosfera ci fosse nello spogliatoio, di chi comandasse. L’inizio era pure stato promettente, poi è andato tutto peggio: a un certo punto volevano farmi guadagnare di meno, dicevano che se non avessi acconsentito non avrei giocato più... Mi hanno tolto la gioia del calcio e del gol. Serve altro?».
Lo decida lei...
«Chiudiamo così, aveva ragione il grande Van Basten quando disse: “Pancev ha fatto bene a venire a Milano, ma ha solo sbagliato indirizzo...”».
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