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In che senso?
«Loro non erano malati. Cercavano solo di far quadrare i conti delle società. Parlo della mia epoca, ma penso che le cose non siano cambiate molto. Quella delle scommesse è una giostra di soldi che fa comodo a tutti».
Si fa fatica a capire come dei giovani privilegiati che hanno fama, gloria e ricchezza, possano cadere in questo baratro.
«La malattia non guarda in faccia nessuno».
Quanto ha perso scommettendo?
«In tre anni circa 600 mila euro e ne prendevo 200 mila all’anno di stipendio. Ho iniziato ad Ascoli con un compagno di squadra che mi fece vedere un sito, un po’ come Fagioli con Tonali. Io non lo sapevo ma dietro c’era la malavita, tutto partiva da Singapore».
Lei è stato assolto dall’accusa del Minias, e la frode sportiva?
«Prescritta. Risultato: radiato senza aver subito condanne. Ho smesso di giocare a 27 anni, quando è arrivata l’assoluzione ne avevo 39 ed ero troppo vecchio per rientrare. Il mio caso dovrebbe insegnare prudenza perché si rischia di rovinare carriere e famiglie per poi magari scoprire che c’è poco o nulla. Mi sento vicino a questi ragazzi, dico una sola cosa: fatevi subito aiutare».
Lei l’ha fatto?
«Sì, mi hanno curato gli specialisti. La psicologa mi disse: “Non so come tu non ti sia suicidato”. Avevo perso lavoro e famiglia, è stata dura».
Non ha più scommesso?
«Ho fatto un lungo percorso. Sono passato dallo stato di compulsione al divertimento, giocando una volta ogni tanto. Ma ci sono voluti anni».
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