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"Se quel referendum fosse invece fatto nelle stanze dei proprietari dei club e dei dirigenti, come finirebbe? C’è una distanza. Quella spinta dal basso incontra la ritrosia dall’alto. E su questo ci viene da parteggiare con il tecnico di Lecce perché al di là di evidente asprezze, e considerato da par suo lo stress che questo martello a percussione provoca, sopra Conte il discorso vira verso la diceria. Ma perché Conte sarebbe così impegnativo come si insiste a descriverlo?".
"Certo, l’ingaggio è di un tecnico top, ma Conte ha creato valore nei posti dove ha lavorato. Intanto, con le vittorie, che arricchiscono direttamente un club, e stimolano anche la spesa dei tifosi (botteghino, indotto), e anche creando quel virtuoso senso di appartenenza, la fusione delle passioni fuori e dentro il campo, per la trasmissione di quel vissuto intenso per i colori. Poi - appunto - nobilitando giocatori che con lui hanno toccato l’apogeo, e dunque valori (anche di “vendita”) mai avuti. E perfino permettendo plusvalenze anche nelle spese maggiori".
"Per una dirigenza misurarsi con Conte non è semplice, è impegnativo ma è per il logorio mentale, per l’esaurimento delle energie che il tecnico pretende dagli altri, spremendo tutto se stesso: un patto, non una prova di forza. È difficile per lo sbilanciamento dei meriti che ne consegue (verso Conte) e lo scarico delle responsabilità (verso la società) tipica delle relazioni che lo coinvolgono. Ma una dirigenza forte non si pone neanche la domanda se valga la pena questo rischio. Si misura con quest’energia centripeta, la lascia convergere verso l’obiettivo, ne contiene le fughe centrifughe. Ed è sollevata perfino nella scrittura del finale, Conte non è mai per sempre, ma non si sottrae a intestarsi l’addio".
(Gazzetta dello Sport)
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