Quale caratteristica rubava di più l'occhio?
"Oltre alla tecnica, il fatto che fosse davvero molto determinato in tutto ciò che faceva. Era un tipo che lavorava tanto e parlava poco".
Un punto debole?
"Non aveva lacune gravi. Non era molto strutturato fisicamente, però giocava già a 8 o 9 anni giocava con i ragazzi più grandi di due anni".
Fuori dal campo, caratterialmente, come era Pavard?
"Benjamin era un ragazzino molto timido, ma appena si trovava il pallone tra i piedi lo era molto meno. Ed era educatissimo".
Era il calciatore più forte che aveva in squadra?
"Sicuramente faceva parte del gruppo dei migliori, tra cui uno che è arrivato in Ligue 2. Di certo è uno dei più talentuosi che io abbia mai allenato".
Si ricorda il momento in cui Pavard ha deciso di andare al Lille, a quasi 100 chilometri di distanza?
"Sì, ha deciso di trasferirsi da solo a Lille, era giovanissimo e viveva come ospite in una famiglia. Non è una cosa da tutti".
E il Pavard adulto?
"Come ho detto prima, fa tanto e parla poco, anche quando ha giocato in posizioni che non sono di sua competenza al 100%, come al Bayern Monaco. È sempre rimasto titolare nonostante i cambi di allenatore. E i trofei che ha vinto dicono tutto...".
Condivide la scelta di venire in Serie A dopo gli anni in Francia e Germania?
"È una scelta abbastanza logica, è un difensore e il calcio italiano è conosciuta per la sua specializzazione in difesa. A lui piace difendere, sicuramente questa esperienza lo aiuterà a migliorare ancora di più".
Ha rivisto Benjamin da quando è diventato professionista?
"Sì, l'ho rivisto! È passato qualche volta a casa mia e abbiamo avuto modo di rivederci. Adesso è più difficile riuscirci a incontrare, ma ci scambiamo dei messaggi: è una persona molto umile e disponibile nonostante la carriera che sta avendo".
Chiudiamo con un aneddoto?
"All'epoca suo padre Frédéric (con un passato da calciatore in terza serie, ndr) allenava una formazione di ragazzi più grandi e molte volte Benjamin chiedeva di poter fare un lavoro specifico di protezione palla prima dell'allenamento. Il padre era più severo con lui che con i giocatori che allenava e noi gli ricordavamo che era soltanto un ragazzino. Ci rispondeva: 'Visto che gioca con i più grandi, devo trattarlo da grande!'. Aveva 8 anni e stava in campo con quelli di 20, non era nemmeno fuori posto. Impressionante. Ecco, diciamo che suo padre era molto esigente...".
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