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Tommaso Pellizzari, giornalista del Corriere della Sera, ha detto la sua circa il ritiro dal calcio giocato di Javier Zanetti, invitando l'Inter però a non ritirare la maglia del campione argentino, per sperare nell'arrivo in futuro di una nuova leggenda. Ecco quanto scritto: "Javier Zanetti arriva in Italia nel 1995, anno in cui sparisce l’obbligo di dare ai giocatori i numeri dall’1 all’11 e ognuno può scegliere quello che vuole. È un ventiduenne sconosciuto, che fa il laterale destro ma il numero 2 è proprietà assoluta dello Zio Bergomi fin dagli anni 80. Zanetti prende dunque il 4, che assumerà un senso molto più tardi, con la trasformazione del «Tractor» in centrocampista centrale a opera di Mancini (e dell’arrivo di Maicon nerazzurro), poi perfezionato da Mourinho. Anche perché in precedenza Zanetti aveva dovuto parecchie volte riciclarsi a laterale difensivo sinistro, negli anni in cui l’Inter sembrava specializzata nel trovare ogni anno sul mercato il peggiore al mondo in quel ruolo. Riassumendo: un 2 (fra i più puri che si fossero mai visti) che giocava spesso da 3 con la maglia numero 4. Se preferite: 4 si può diventare, non essendovi necessariamente nati. Ma non è per questo che Zanetti, alla vigilia del suo addio al calcio, dovrebbe chiedere esplicitamente che il suo numero 4 non venga ritirato per sempre dall’Inter. Per come l’ha interpretato, sia dal punto di vista della versatilità tattica che da quello della passione che ci ha messo, è ovvio che se lo meriterebbe. Dell’Inter morattiana, Zanetti non è stato soltanto il cuore (che andrebbe condiviso almeno con Cambiasso, l’uomo che festeggiò gli scudetti indossando la maglia di Giacinto Facchetti): di questo ventennio nerazzurro, Javier è stato anche e soprattutto la coscia. E non solo perché se la gioca solo con Rummenigge per circonferenza muscolare. Quella di Zanetti è stata la gamba oltre la quale non si riusciva a passare e che quando partiva in dribbling o sulla fascia non si riusciva a riprendere. Però: quanti bambini, guardandolo saltare un avversario via l’altro, o esaltandosi per un suo recupero difensivo, non hanno sognato (o stanno sognando) di diventare un giorno come lui, con tanto di 4 sulle spalle? E perché l’Inter (o qualsiasi altra squadra) dovrebbe privarsi della bellezza di poter vedere ogni maglia come un testimone, che passa da un grande campione all’altro? L’Inter è l’8 di Mazzola e Thiago Motta, il 10 di Suarez, Matthäus e Sneijder o il 9 di Boninsegna, Ramon Diaz ed Eto’o. È giusto che la grande tradizione del numero 4 che fu di Oriali e Matteoli si fermi con Zanetti, per quanto gigantesca sia stata la sua parabola? La risposta a questa domanda sta 1200 km a nord di Milano, e precisamente a Manchester. Dove negli ultimi 40 anni lo United ha costruito un bel pezzo della sua leggenda proprio grazie a un numero di maglia: quel 7 passato da George Best a Eric Cantona, David Beckham e Cristiano Ronaldo. Quattro calciatori la cui storia avrebbe potuto tranquillamente, ogni volta, legittimare il ritiro della maglia. Così non è stato. Perché, prima o poi, spunterà un altro 7 a perpetuare la leggenda. Sarebbe un peccato se ad accoglierlo non ci fosse la maglia col numero giusto.
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