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Peterson: “Conte? Un top allenatore deve dire ‘Colpa mia’. Ma la cosa impressionante è un’altra”

Matteo Pifferi

Coach Dan Peterson, sulla Gazzetta dello Sport, spiega perché non condivide le parole di Conte post-Napoli

Nel corso di un editoriale sulla Gazzetta dello Sport, Dan Peterson, storico allenatore e icona della pallacanestro italo-americana, ha parlato così di Antonio Conte e delle dichiarazioni post-Napoli:

"Antonio Conte non ha bisogno di lezioni da nessuno. Detto ciò, sono rimasto sorpreso, per usare un eufemismo, dalle sue dichiarazioni autoassolventi dopo l’eliminazione in Coppa Italia a Napoli. Sia chiaro, si tratta di un grandissimo allenatore: ha dato inizio a questo ciclo terrificante della Juventus, ha sbancato la Premier League in Inghilterra con il Chelsea, ha dato una svolta importante alla Nazionale Italiana. Certo, le sue parole sono aperte a molte interpretazioni. Ma l’impressione che rimane è questa: non è colpa sua, non si può chiedergli di vincere sempre. Scusatemi se sto parafrasando. Ora, sulla scia della partita, dell’eliminazione e delle sue parole, c’è un bombardamento a tappeto sui social, sulla stampa, su Internet, in televisione. Nei talk show calcistici non esiste altro tema. Chiaro, gli anti-interisti si divertono a prendere in giro lui e l’Inter con ironia. Ma la cosa impressionante è sentire gli ospiti pro-Inter. Sono loro i più inferociti. Gli rinfacciano 11 milioni di stipendio e due eliminazioni in due manifestazioni a fronte di 200 milioni di acquisti, agitandogli davanti lo spettro degli “Zero tituli”, come diceva Mourinho. Insomma, Titanic 2020".

EVITABILE - "Per me, Antonio Conte poteva benissimo evitare tutto ciò. Non pretendo di saperne più di lui, ma avrei usato un approccio diverso dopo una sconfitta del genere. Mi sarei detto: «Caro Peterson, qui ti pagano lo stipendio. Ma non per stilare il quintetto base, chiamare lo schema “L'o ordinare la 1-3-1 con Mike D’Antoni in punta. Ti pagano per prendere le frecce nel tuo petto quando le cose non vanno bene». Con questo in mente, dopo sconfitte terribili (e ne so più di Conte su questo tema!) dicevo ai mass media: «Prendetevela con me! Qui a fine cena qualcuno deve pagare il conto. Chi ha sbagliato sono stato io. Nessun altro». Faccio un esempio. La mia Olimpia-Simac Milano ha perso la finale scudetto del 1983-84 a Milano, contro la Virtus Bologna. In Gara-3, la bella, siamo stati sotto di un punto con 29 secondi da giocare. Il nostro Renzo Bariviera subisce un fallo. Avevamo la scelta: battere i tiri liberi o rimettere la palla per l’ultima azione. Ordino a “Barabba” di tirare. Li sbaglia entrambi e perdiamo. Colpa mia. Punto! Dovevo far rimettere la palla, far fare a Mike la “L” con il nostro super americano, Antoine Carr. Invece non l’ho fatto. Amen. L’ho detto ai tempi e lo ripeto oggi. Toccava a me prendere le frecce".

CRITICHE - "C’è un altro beneficio se fai così: disarmi i critici che penseranno «Maledetto Peterson! Volevamo dire che era colpa sua. Ci ha battuto sul tempo». Con questo non è che io avessi grande pace. Quell’anno abbiamo perso anche la Coppa delle Coppe per un punto contro il Real Madrid. Un giornalista mi definì così: «Il John Wooden dei secondi posti» Ouch! John Wooden è stato il più grande coach di basket di ogni tempo. Ho chiamato il giornalista, un amico: «Ti volevo ringraziare. È l’unica volta che il mio nome è stato menzionato nella stessa frase con John Wooden». Sai, la stampa ha due grandi armi: il computer e… l’ultima parola".