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Il preparatore Pincolini sui calciatori: “Il problema sarà psicologico: non sono tutti CR7 e…”

Le parole del preparatore atletico dell'Italia Under 20 sull'impatto dello stop forzato sui calciatori

Matteo Pifferi

L'edizione odierna di Liberoriporta un'intervista a Vincenzo Pincolini, preparatore atletico dell'Italia Under 20 che ha parlato delll'impatto che può avere lo stop forzato causa coronavirussul rendimento e la salute dei giocatori:

«Se stare in casa è innaturale per tutti, lo è forse di più per gli sportivi che sono abituati all'allenamento all'aperto e per i giovani. E i calciatori appartengono a entrambe le categorie. Ma bisogna stare tutti a casa. Anche perché di modi per tenersi allenati ce ne sono tanti».

Ne approfittiamo: quali sono?

«Si trovano dei bellissimi tutorial online, ne hanno appena finito uno mia figlia e mia moglie, devo dire che sono fatti bene. I professionisti hanno bisogno di altro, naturalmente. Tutti gli staff in questi giorni hanno fornito ai calciatori dei programmi di allenamento da svolgere in autonomia, a casa, su misura, secondo le loro caratteristiche e esigenze. Per loro è anche più facile: se non hanno gli strumenti possono sempre recuperarli online, anche grazie ai rapporti diretti delle società con i fornitori. Basta poco per trasformare il soggiorno in una palestra».

Che tipo di lavoro viene assegnato ai calciatori professionisti?

«Non di altissima intensità perché abbassa le difese immunitarie e in questo momento, prima che conservare lo stato di forma, va preservata la loro salute. Quindi saranno lavori di mantenimento, intensi ma senza picchi, dove vengono curate resistenza, forza e elasticità. In più, si può sfruttare questo periodo per prevenire infortuni o recuperare gli acciaccati».

Qual è il fine di queste sedute individuali?

«Il mantenimento di un ottimo livello di fitness. I calciatori, se rispetteranno i programmi, non perderanno la forma. In 7-10 giorni, quando potranno tornare in gruppo, saranno pronti. Insomma, l’aspetto fisico non è un problema».

Lo è quello psicologico?

«Esatto. I calciatori sono abituati alla socialità. Mancherà la vita di gruppo, la routine della squadra, dentro il campo e fuori».

Soffriranno anche la mancanza di abitudini, come noi “comuni mortali”.

«La differenza è che sono meno abituati ad una gestione ordinaria. In fondo ora sono lavoratori in smart working. Il punto è che non hanno più all’orizzonte il picco emotivo della partita, né l’avvicinamento alla gara, che è un lungo rituale, non è solo la mezz’ora nello spogliatoio. Dovranno autosostenersi con uno sforzo emotivo, pensando che si riprenderà presto».

Chi soffrirà di più, i giovani o gli esperti?

«I giovani avranno meno problemi dal punto di vista fisico, ma sono più a rischio sotto il profilo mentale. Chi ha meno personalità farà più fatica: non sono tutti Ronaldo, che sarà ben contento di allenare se stesso. È fondamentale l’aiuto degli staff».

In che modo, visto che anche loro sono a casa?

«È fondamentale creare una nuova routine. In Nazionale abbiamo istituito una call conference ogni 2/3 giorni. Non ci diciamo niente di nuovo, ma è un impegno che fa sentire coinvolti. Va fatto anche per i calciatori. Si possono organizzare allenamenti in videochiamata, con il preparatore che li segue nella seduta. Ma non solo: suggerisco di creare un appuntamento collettivo per iniziare la giornata. Una riunione di spogliatoio virtuale, in cui si ricrea l’atmosfera».

Bella idea. La sponsorizziamo?

«È una sfida simile ad una partita. Anche se si è separati, bisogna tenere al centro il senso di squadra»