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Pioli: “La mia Inter aveva dinamiche definite e difficili da cambiare. Ibra mi ha detto che…”

Il tecnico del Milan ha parlato al Corriere della Sera

Matteo Pifferi

"Lunga intervista concessa da Stefano Pioli, allenatore del Milan, al Corriere della Sera. L'ex mister dell'Inter ha parlato dell'arrivo di Ibrahimovic ma anche della sua avventura in nerazzurro.

"Tutto si può dire fuor che Zlatan Ibrahimovic sia un bravo ragazzo, è d’accordo?

«Ibra è un guerriero, un leader, un giocatore carismatico che ha grande senso della responsabilità e grande voglia di vincere. Sarà di stimolo per tutta la squadra, il suo apporto sarà fondamentale».

"L’aspetto della personalità è quello dove il suo Milan ha mostrato più lacune?

«Essendo la squadra più giovane del campionato qualche limite a livello di cattiveria agonistica l’abbiamo riscontrato. Ibra è quel tipo di giocatore, di persona e di leader che potrà aiutarci a colmarlo. Ringrazio la proprietà. Gazidis, Maldini, Boban e Massara hanno lavorato tanto durante le feste».

"E da un punto di vista tecnico-tattico cosa può dare?

«Sa fare tutto, sa mandare in gol i compagni, sa occupare bene l’area, saprà essere il punto di riferimento della nostra fase offensiva. L’ho sentito al telefono, è molto carico, non vede l’ora di allenarsi con noi, come io di averlo».

"Cosa le ha detto al telefono?

«Gli ho dato il benvenuto, si è informato sulle condizioni della squadra, sui prossimi allenamenti, sulle prossime situazioni da affrontare. Mi ha detto: “mister stai tranquillo che sto bene”».

"Dovete superare la batosta di Bergamo. Come si fa?

«Con la voglia di riscatto, perché abbiamo finito il 2019 nel peggior modo possibile. Ibra ci dà un motivo in più per essere positivi».

"Un’altra etichetta che non le piace è quella di «normalizzatore», cos’ha che non va?

«È il concetto di mettere un’etichetta che non mi piace. Vengo descritto come un tipo più distaccato di quello che sono, sono molto più passionale, vivo di emozioni, di entusiasmo. Ma a volte mi sembra che si confonda l’educazione e il rispetto con la mancanza di personalità, o che per essere un bravo allenatore si debba essere arroganti».

"Se guarda al suo 2019 di cosa è più soddisfatto?

«Di come sono stato accolto qui, della disponibilità dei giocatori. Di come mi sento coinvolto. Sono arrivato la settimana della sosta del campionato, c’erano pochissimi giocatori. Quando è stato il momento di debuttare contro il Lecce mi sembrava di essere qui da tanto tempo».

"E invece qual è l’urgenza da affrontare nel 2020?

«Dobbiamo diventare più concreti. Siamo costretti a fare un volume di gioco troppo elevato per vincere, siamo una delle squadre che in percentuale sfrutta meno le occasioni create. È un limite grosso, abbiamo lasciato 3-4 punti per questo».

"È un concetto che è finito in uno dei suoi cartelli stile Herrera? Ce li spiega meglio?

«Una delle cose più importanti è motivare, stimolare la squadra. Sin dai primi giorni della settimana cerco di buttare delle “ancore”, dei salvagente che mi aiutino a portare la motivazione al massimo nel finale della settimana».

"In che senso salvagente?

«Faccio come Pollicino: se tutti i giorni butto un principio, un concetto, uno slogan, una foto, una dichiarazione di un avversario o di un mio giocatore, a fine settimana è più facile ricordare quello che mi preme ai giocatori».

"A Milanello ha appeso la classifica, e poi?

Una delle cose più importanti è motivare la squadra: ogni giorno a Milanello propongo un concetto, uno slogan, una foto per far capire ciò che mi preme.

Non è più vero che l’allenatore è un uomo solo?

«È solo nelle sconfitte. Ed è anche giusto così, come capita a chi ha una responsabilità e deve convivere con il peso delle sue scelte. È chiaro che i risultati restano determinanti, ma io credo di aver acquisito l’equilibrio per poter ammettere se ho sbagliato le scelte al di là del risultato. A volte ho riconosciuto miei errori anche dopo le vittorie».

"Le piacerebbe essere alla guida di un progetto lungo?

«Sì, tanto. La mia esperienza più duratura è stato a Bologna due anni e mezzo. Mi piacerebbe allenare una squadra 4-5 anni, perché c’è tanto da creare come spirito, come cultura. Non si può fare a meno dei risultati, ma credo che la difficoltà maggiore sia la valutazione degli obiettivi a inizio anno: perché se pensi che la tua squadra sia meglio di quello che è, diventa difficile centrare gli obiettivi e di conseguenza tenere l’allenatore. L’allenatore fortunato è quello che va in una società che ha un giudizio realistico degli obiettivi della squadra».

"E al Milan le hanno chiesto obiettivi realistici? Si era partiti con la Champions.

«A me la società ha chiesto di fare il massimo per raggiungere gli obiettivi più alti possibili. Non mi ha chiesto per forza la Champions, ma di sfruttare i giocatori a disposizione, consapevole di avere una squadra con qualità».

"Per farlo deve riuscire a valorizzare chi ha: Paquetà dove deve giocare e che gli manca?

«Nessun dubbio, è una mezz’ala. Lavora con impegno e generosità, ma deve diventare più determinante: che significa che o fa gol o deve far fare gol».

"Con l’arrivo di Ibra, Piatek, ammesso che resti, non rischia di deprimersi?

«Se giochi nel Milan e arriva un giocatore di qualità devi essere stimolato e contento: più sono e più si alzano le possibilità di vincere».

"Anche all’Inter è arrivato in corsa: differenze tra le due esperienze?

«L’Inter è una squadra molto più esperta, con dinamiche definite, quindi ancora più difficili da cambiare. Qui ho trovato una squadra più giovane, più aperta, direi più “malleabile”».

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