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Platini: “Gli Ultras non possono dettare legge. Razzismo? Non si transige…”

Francesco Parrone

Il caos regna sovrano sotto il cielo del calcio, se persino Michel Platini ora rettifica e in parte ammorbidisce le norme anti razzismo, introdotte dalla sua stessa Uefa. Non senza contraddizioni. Platini, nel Monferrato per ricevere il premio...

Il caos regna sovrano sotto il cielo del calcio, se persino Michel Platini ora rettifica e in parte ammorbidisce le norme anti razzismo, introdotte dalla sua stessa Uefa. Non senza contraddizioni. Platini, nel Monferrato per ricevere il premio Liedholm, lo dice chiaramente: «Bisogna punire i tifosi che sbagliano, non le società. Non si può perdere un campionato per una penalizzazione disciplinare». Ma è stata proprio l’Uefa, la scorsa estate, ad inasprire le pene. Ora i club si ribellano, e Platini sembra ascoltarli: che faranno le federazioni?

Presidente, in Italia la discriminazione territoriale sta creando enormi problemi: cosa ne pensa l’Uefa?«Lo imparo oggi, io non ne sapevo niente. Per noi vale la parola discriminazione, stop: l’aggettivo territoriale l’ha aggiunto la Figc: lo ignoravo. Ci sono federazioni che possono aggiungere o togliere, in Italia si è fatto qualcosa in più. Ma noi stabiliamo solo i criteri generali, e la Disciplinare analizza i singoli casi».

Gli ultrà minacciano di far chiudere gli stadi: non le sembra un’enorme arma di ricatto? «Infatti: quella gente non può diventare protagonista, non può dettare legge. E noi dobbiamo punire loro, non i giocatori. Al limite, chiudiamo un settore. Perché il Milan deve avere San Siro senza pubblico? E se dovesse perdere uno scudetto per un eventuale handicap in classifica, sarebbe giusto? Io non credo, difatti dico no».

Ma queste norme, e la loro gradualità applicativa, le avete stabilite voi.«Sul razzismo non si transige, è inaccettabile, un problema enorme: il mondo ci guarda. Gli arbitri possono fermare una partita dopo il secondo richiamo dello speaker, ma si tratta anche di un guasto sociale. Io non sono un carabiniere e non voglio chiudere gli stadi. Ci pensino politici e dirigenti a migliorare la società, noi dobbiamo solo proteggere il gioco del calcio. L’Uefa dà indicazioni generali e punisce le situazioni più gravi, però non potrà mai sostituirsi alle norme dei singoli stati».

Non le sembra che la situazione stia precipitando?«I violenti e gli scemi li abbiamo sempre avuti, sono pochi ma fanno notizia: adesso, forse, dobbiamo ridimensionare un poco il problema. Qui si parla di Liedholm: ho molta nostalgia della sua tranquillità. Bisogna tutelare i genitori che vogliono portare allo stadio i propri figli, però al 99% il calcio è sano ed è bellissimo. Nel restante 1% ci sono i razzisti, i violenti, le scommesse illecite, il doping. Ora abbiamo due strade: punire i giocatori o punire le curve che sbagliano. Penso sia preferibile la seconda soluzione».

Insomma, tutelare il gioco. «Lo pensavo anche quando i difensori avversari mi seguivano pure alla toilette».

Crede sia anche una questione etica?«La crisi di valori esiste, ormai il calciatore è un prodotto, una merce: il sistema va cambiato. Gli agenti dei giocatori guadagnano solo se i loro assistiti cambiano squadra, e questo ha chiuso per sempre la stagione delle bandiere».

Riuscirete a colmare la voragine economica?«Ci proviamo col fair-play finanziario: siamo partiti da un miliardo e 700 milioni di deficit, e non possiamo mica usare la cassa integrazione come per le aziende italiane. I club per primi ci hanno chiesto di intervenire, compresi Berlusconi e Moratti. Se non si cambia, un giorno o l’altro il sistema esploderà».

Le piace l’inizio del campionato? «Beh, mica male un allenatore francese primo in classifica! Ma se hai Totti, diventa tutto più facile».

E la sua Juve?«Dicono che gioca male, ma intanto è sempre lì e non ha mai perso. Cosa succederà quando giocherà bene?»

Un altro francese, Pogba, sostiene che possa battere il Real Madrid. Esagera? «Perché mai? Spero abbia ragione. La forza del calcio è che chiunque può vincere o perdere contro chiunque. Non esiste niente di più globale al mondo, niente di più democratico».