- Squadra
- Calciomercato
- Coppa Italia
- Video
- Social
- Redazione
ultimora
Il caos regna sovrano sotto il cielo del calcio, se persino Michel Platini ora rettifica e in parte ammorbidisce le norme anti razzismo, introdotte dalla sua stessa Uefa. Non senza contraddizioni. Platini, nel Monferrato per ricevere il premio Liedholm, lo dice chiaramente: «Bisogna punire i tifosi che sbagliano, non le società. Non si può perdere un campionato per una penalizzazione disciplinare». Ma è stata proprio l’Uefa, la scorsa estate, ad inasprire le pene. Ora i club si ribellano, e Platini sembra ascoltarli: che faranno le federazioni?
Presidente, in Italia la discriminazione territoriale sta creando enormi problemi: cosa ne pensa l’Uefa?«Lo imparo oggi, io non ne sapevo niente. Per noi vale la parola discriminazione, stop: l’aggettivo territoriale l’ha aggiunto la Figc: lo ignoravo. Ci sono federazioni che possono aggiungere o togliere, in Italia si è fatto qualcosa in più. Ma noi stabiliamo solo i criteri generali, e la Disciplinare analizza i singoli casi».
Gli ultrà minacciano di far chiudere gli stadi: non le sembra un’enorme arma di ricatto? «Infatti: quella gente non può diventare protagonista, non può dettare legge. E noi dobbiamo punire loro, non i giocatori. Al limite, chiudiamo un settore. Perché il Milan deve avere San Siro senza pubblico? E se dovesse perdere uno scudetto per un eventuale handicap in classifica, sarebbe giusto? Io non credo, difatti dico no».
Ma queste norme, e la loro gradualità applicativa, le avete stabilite voi.«Sul razzismo non si transige, è inaccettabile, un problema enorme: il mondo ci guarda. Gli arbitri possono fermare una partita dopo il secondo richiamo dello speaker, ma si tratta anche di un guasto sociale. Io non sono un carabiniere e non voglio chiudere gli stadi. Ci pensino politici e dirigenti a migliorare la società, noi dobbiamo solo proteggere il gioco del calcio. L’Uefa dà indicazioni generali e punisce le situazioni più gravi, però non potrà mai sostituirsi alle norme dei singoli stati».
Non le sembra che la situazione stia precipitando?«I violenti e gli scemi li abbiamo sempre avuti, sono pochi ma fanno notizia: adesso, forse, dobbiamo ridimensionare un poco il problema. Qui si parla di Liedholm: ho molta nostalgia della sua tranquillità. Bisogna tutelare i genitori che vogliono portare allo stadio i propri figli, però al 99% il calcio è sano ed è bellissimo. Nel restante 1% ci sono i razzisti, i violenti, le scommesse illecite, il doping. Ora abbiamo due strade: punire i giocatori o punire le curve che sbagliano. Penso sia preferibile la seconda soluzione».
Insomma, tutelare il gioco. «Lo pensavo anche quando i difensori avversari mi seguivano pure alla toilette».
Crede sia anche una questione etica?«La crisi di valori esiste, ormai il calciatore è un prodotto, una merce: il sistema va cambiato. Gli agenti dei giocatori guadagnano solo se i loro assistiti cambiano squadra, e questo ha chiuso per sempre la stagione delle bandiere».
Riuscirete a colmare la voragine economica?«Ci proviamo col fair-play finanziario: siamo partiti da un miliardo e 700 milioni di deficit, e non possiamo mica usare la cassa integrazione come per le aziende italiane. I club per primi ci hanno chiesto di intervenire, compresi Berlusconi e Moratti. Se non si cambia, un giorno o l’altro il sistema esploderà».
Le piace l’inizio del campionato? «Beh, mica male un allenatore francese primo in classifica! Ma se hai Totti, diventa tutto più facile».
E la sua Juve?«Dicono che gioca male, ma intanto è sempre lì e non ha mai perso. Cosa succederà quando giocherà bene?»
Un altro francese, Pogba, sostiene che possa battere il Real Madrid. Esagera? «Perché mai? Spero abbia ragione. La forza del calcio è che chiunque può vincere o perdere contro chiunque. Non esiste niente di più globale al mondo, niente di più democratico».
© RIPRODUZIONE RISERVATA