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Prandelli: “Blocco Inter ha deluso, erano giù di condizione. Scudetto vinto troppo presto”

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Intervistato da La Gazzetta dello Sport, l'ex ct della Nazionale Cesare Prandelli ha parlato del flop dell'Italia agli Europeo
Andrea Della Sala Redattore 

Intervistato da La Gazzetta dello Sport, l'ex ct della Nazionale Cesare Prandelli ha parlato del flop dell'Italia agli Europeo e del futuro degli azzurri:

Come si reagisce alla botta terribile arrivata in questo Europeo?

«La batosta non è un problema in sé. Sono sicuro che sarà metabolizzata presto e gli azzurri si presenteranno carichi alla sfida con la Francia a settembre. Non avranno paura. Servirà però un altro tipo di reazione».


Quale?

«Il ringiovanimento, come ha detto Spalletti, è necessario. Ma non tanto nell’età, visto che l’Italia è giovane. Dovremo essere più giovani nello spirito di squadra. Nella testa. Troppe domande sono senza risposta. Com’è possibile che tu abbia un ct come Spalletti, un capodelegazione come Buffon, e non reagisca? Cosa è successo a Berlino? I giocatori sembravano catatonici. Come fai a dare un giudizio su una prestazione così? Vista la Georgia?»

Ha lottato col coltello tra i denti.

«Ma certo. Non ha la qualità della Spagna, neanche dell’Italia, escluso Kvara, ma ha corso e lottato fino all’ultimo, cercando il gol, anche se ormai aveva perso. Anche la Danimarca con la Germania non s’è arresa. Non come noi: passaggi orizzontali a due all’ora. Luciano deve ringiovanire i giocatori nella testa. Si reagisce così».

C’è davvero un problema di distanza tra allenatore e ct? Si impara a diventare ct?

«Domanda difficilissima. Non c’è una vera risposta, perché i grandi tornei, anche quelli che abbiamo vinto, sono spesso condizionati da episodi. Puoi intervenire fino a un certo punto. Però di sicuro devi ridurre il tuo ego, il tuo io, e metterti a disposizione: nel senso che devi adattarti ai giocatori. Non sei un tecnico federale che li conosce da quando avevano quattordici anni. Hai poco tempo, poca confidenza. Serve una sintesi. Scegli e fai che siano loro i protagonisti. Non alleni la Spagna».

Servono accorgimenti tattici? Forse con i cambi abbiamo esagerato…

«Non ero nella testa di Spalletti, probabilmente non aveva garanzie, riceveva risposte poco rassicuranti e ha cercato di trovare equilibrio in qualche modo. Non è stato neanche facile: il blocco Inter ha deluso perché erano giù, avevano vinto lo scudetto troppo presto per restare in condizione. Spiace dirlo ma è così. Però sicuramente un progetto va trovato».

Un progetto, più che un fuoriclasse. Perché non sembra che ne siano rimasti a casa o che possano arrivare fenomeni…

«Lo sappiamo da anni che è così. Già prima ci siamo trovati a fine ciclo senza vere alternative. Ogni tanto si cerca di esibire un po’ di ottimismo. Ma serve un progetto che non soffochi i talenti. Non dobbiamo essere totalmente negativi: qualche buon giocatore c’è, ma non deve pensare al possesso e al sistema tattico fin da ragazzo. Facciamo crescere giocatori che abbiano carattere, determinazione, senso di appartenenza, generosità, che facciano squadra».

E invece?

«Invece inculchiamo ai giovani, ogni giorno, l’idea dell’impostazione dal basso, del possesso, del dominio. Io avevo una squadra giovanile fantastica ma che soffriva da morire se non aveva il dominio: per due mesi ho dovuto lavorare su aggressione e ri-aggressione. Noi stiamo lavorando solo su una parte. Basta con il possesso fine a se stesso. Il giochismo va bene nella prima squadra. Tra i giovani si deve giocare liberamente, anche rinvii, difesa, contropiede. O mortifichiamo il talento».

 

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