Il futuro di San Siro continua a far discutere, risultando un tema caldo sia per il Comune di Milano che per Inter e Milan, chiamate ad una decisione in tempi brevi. Ai microfoni de La Gazzetta dello Sport, ha preso parola Enrico Faroldi, il prorettore del Politecnico di Milano, direttore del master in “Progettazione, costruzione, gestione delle infrastrutture sportive” e autore del saggio “Architettura dello Sport”.
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Prorettore Politecnico: “San Siro obsoleto. Stadio nuovo? Inter e Milan dovrebbero…”
Enrico Faroldi dice la sua sul futuro dello stadio
Professor Faroldi, perché bisogna abbandonare il Meazza?
«Dipende dalle ambizioni che si hanno. Se sono modeste allora si può preservare lo status quo, come si fa con la manutenzione su una vecchia auto. Ma se si vuole crescere bisogna adottare nuovi modelli di reddito: uno stadio moderno e polifunzionale è imprescindibile per le logiche del calcio moderno. A Milano si può pensare che due squadre antagoniste con ambizioni di crescita possano cooperare nella costruzione di un nuovo stadio, visto come un volano di redditività e sviluppo, ma anche di identità».
Non si potrebbe ammodernare San Siro?
«Le vecchie strutture sportive come San Siro non sono resilienti, non hanno la capacità di adeguarsi alle nuove funzioni, ai nuovi modelli di intrattenimento. San Siro nacque come spazio destinato al calcio, ha già visto tre stratificazioni, si vede morfologicamente che è uno stadio sofferto. È un impianto rigido, la compartimentazione degli spazi sotto le tribune non garantisce la flessibilità di nuove aree e funzioni che hanno bisogno di progettazioni libere e meno vincolanti. Per come è concepito nelle altezze, nella sovrapposizione delle gradinate, ormai non va più bene. Servirebbero sforzi enormi per ristrutturarlo in maniera drastica e non si otterrebbe comunque lo stesso obiettivo che si raggiungerebbe con la costruzione di un nuovo impianto».
Quali sarebbero gli ostacoli principali?
«Si pensi a materiali, tecnologie, messa a norma. Serve uno stadio digitale, San Siro invece fa della materia il suo punto di forza. L’applicazione di un cablaggio totale, l’implementazione di un modello smart sono quasi impossibili. Ristrutturarlo sarebbe un grande costo, farlo nuovo sarebbe un grande investimento. Inoltre, le operazioni sarebbero altamente invasive e le due squadre potrebbero essere costrette a traslocare per la durata del cantiere. Comunque lo si trasformi, San Siro resterà sempre un oggetto. È obsoleto, non è al passo con i tempi. E poi c’è il tema del terzo anello».
Cioè?
«È problematico per quegli spettatori che hanno patologie come le vertigini. Oggi vige lo slogan “design for all”, progettazione per tutti. Lo stadio deve essere accessibile e confortevole per tutti in tutte le condizioni, il terzo anello non lo è».
Inter e Milan puntano a un nuovo stadio rimanendo nell’area di San Siro. Condivide?
«Certamente. San Siro è un’area ad alta vocazione sportiva anche se l’attuale impianto non dialoga col tessuto urbano, non qualifica la zona, semmai ne rallenta lo sviluppo. Il nuovo stadio dovrà porsi come elemento di spicco del quartiere e rilanciarlo. Gli stadi, nella nuova concezione, sono luoghi prima di essere oggetti. In Svizzera hanno messo funzioni pubbliche negli stadi per favorirne un uso quotidiano. Oggi nessuno darebbe appuntamento a un amico a San Siro ma in futuro potrà essere così: l’area ha grandi potenzialità ed è facilmente raggiungibile sia dall’esterno con le tangenziali sia dall’interno con la metro. Milano ha tanti distretti, si potrebbe creare a San Siro il distretto dello sport e del tempo libero».
I tifosi più nostalgici, però, rabbrividiscono all’idea di vedere demolito uno stadio-icona.
«La diatriba tra vecchio e nuovo è fuorviante. Bisogna chiedersi dove vuole andare il calcio milanese e italiano in generale. Questo è un settore che ha subito una rivoluzione. Bisogna intercettare le esigenze future dei tifosi, in un’ottica non di 3-5 anni, ma di 10-20-30 anni. Il Meazza non potrà mai coinvolgere le nuove generazioni. Oggi gli stadi sono veri e propri manifesti del tempo libero, del benessere, della socialità».
Lei farebbe costruire un nuovo stadio in cemento armato?
«Gli stadi vecchi pagano lo scotto del mito del cemento armato, che era visto come unico materiale affidabile e in grado di non mutare le prestazioni nel corso del tempo. Non è così. Attualmente le tecnologie di prodotto e di processo e l’ibridazione delle tecniche favoriscono altre scelte. Inoltre la scarsità di risorse, il non consumo di suolo, l’etica ambientale portano a razionalizzare gli investimenti. Una nuova costruzione deve rappresentare l’epoca in cui viviamo».
Che senso avrebbe un investimento di questo tipo per Milano?
«La città sta vivendo una crescita impetuosa che va cavalcata. Se fossimo rimasti ancorati al passato non sarebbe sorto il nuovo skyline milanese».
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