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Regina Baresi, capitano dell'Inter femminile, è la prima giocatrice ad essere stata scelta come testimonial dell'Adidas. Porta il numero di magli numero 9 come il suo mito, Ronaldo. Non Cristiano Ronaldo ma il Fenomeno, che arrivò all'Inter nel '97.
Piccole calciatrici crescono: «Le mie coetanee passavano il tempo con le bambole. Io, appena tornavo a casa da scuola, tiravo fuori il pallone dall’armadio e andavo a giocare in cortile con gli altri bambini. I due “capitani” chiamavano uno per uno i compagni che volevano in squadra. Il terrore era di essere chiamata per ultima. All’inizio nessuno mi voleva, “è femmina, non è capace”. Dopo un po’, hanno iniziato a scegliermi tra i primi».
Gli inizi: «A 12 anni ho iniziato ad allenarmi. I miei genitori non volevano che giocassi, ma non mi hanno mai ostacolato. Sono cresciuta in una casa piena di palloni. Ho una foto di quando avevo appena 7 anni. Giocavo a calcio in spiaggia, con mio padre».
L’Inter: «Sono qui da 14 anni. E non me andrei per nulla al mondo. La routine? Tre allenamenti più una partita a settimana. Pubblico? Un centinaio di persone…».
Si guadagna? «No. Come le mie compagne ricevo solo un rimborso spese. Ho la possibilità di andare in Tv e così suscitare interesse per uno sport bello anche al femminile».
Come rendere più popolare il calcio femminile? «Ha aiutato molto la creazione di squadre femminili da parte di club come Juventus, Fiorentina e Brescia. All’estero quasi tutte le grandi società hanno anche la loro squadra di donne, con a disposizione attrezzatura e staff uguali a quelli degli uomini. Forse le giocatrici sono solo più “difficili” da allenare, ma per un motivo semplice: vogliono sempre capire quello che fanno e il perché. L’uomo fa l’esercizio che gli viene chiesto e basta. Le donne sono più cerebrali, vogliono comprendere il motivo per cui devono farlo. Una volta capito, magari lo fanno anche meglio».
(Vanity Fair)
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