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Repubblica – Mancini torna all’Inter a 360°. Aveva nostalgia per l’Italia…

Francesco Parrone

Dunque il Mancio torna a cavalcioni di un bianco destriero, come aveva sognato quel giorno di oltre sei anni fa, maggio 2008: da poche ore era arrivato il suo secondo scudetto sul campo eppure lo spinsero all’uscita, perché incombeva la figura...

Dunque il Mancio torna a cavalcioni di un bianco destriero, come aveva sognato quel giorno di oltre sei anni fa, maggio 2008: da poche ore era arrivato il suo secondo scudetto sul campo eppure lo spinsero all’uscita, perché incombeva la figura di un certo José Mourinho. Ma più che come Napoleone, torna come un Cincinnato, richiamato alle armi per salvare la patria mentre con finta non curanza badava alle cose di casa sua, e in effetti è nella placida Jesi che sono andati a chiedergli la grazia di rimettere in piedi l’Inter. Torna perché parla un inglese very fluent, e con lui non ci sarà bisogno di interpreti per confrontarsi con Thohir e gli altri dirigenti. Torna con l’aura del grande manager, che ha vinto Fa Cup e Premier League a Manchester in tre anni e mezzo al City, prima di venire spazzato via dalla congiura spagnola (Beguiristain e Soriano, ex dirigenti del Barça) che portò al suo posto Pellegrini. Più breve e in fondo più anonima l’avventura di sette mesi al Galatasaray, dove però riesce a soffiare una qualificazione agli ottavi di Champions alla Juve sotto la neve di Istanbul e a vincere una coppa di Turchia, perché il Mancio se ha un appuntamento fisso è quello con la coppa nazionale: ne ha vinte sei da giocatore e sei da allenatore, in tre paesi diversi. 

E torna anche per un dannatissimo motivo del cuore: gli mancava l’Italia, in modo insopportabile. In questi anni, ogni volta che si telefonava al Mancio per un’intervista o per un saluto, lui rispondeva dal suo villone nella campagna di Manchester o da quello affacciato sul Bosforo, guardava con malinconia lo spettacolo che molti gli avrebbero invidiato e sospirava: «Come in Italia non si sta bene da nessuna parte... Quanto mi manca, il mio paese, non ne avete idea...». Ma Roberto Mancini non torna come un allenatore qualsiasi, né potrebbe essere diversamente. Nella sua nuova Inter il Mancio sarà un manager all’inglese: campo e scrivania, schemi e calciomercato, tattica e amministrazione. E non finisce qui: sarà l’uomo simbolo del club, ne incarnerà le ambizioni e insieme il marchio, perché è un allenatore conosciuto in tutto il mondo. Insomma, mentre molti inseguono invano l’obiettivo di diventare i Ferguson delle proprie squadre perché non ne hanno il background, Mancini è il primo che davvero potrà provarci in un club italiano. La difesa a 4 sarà ripristinata, ovvio: Campagnaro e D’Ambrosio per la fascia destra, Juan Jesus e Nagatomo a sinistra o Dodò se imparerà a difendere, al centro invece Vidic rischierà il posto se continuerà a offrire prove opache. 

Si ripartirà dalla valorizzazione di Guarin, mentre Kovacic sarà il faro perché a Mancini piace molto (come Icardi), Hernanes potrebbe essere spostato in regia. Ma è ancora presto per capire tutto, da oggi il Mancio lavorerà sul campo e vedremo che Inter metterà in piedi per il derby. Però il suo ritorno segna senz’altro una svolta nell’avventura di Erick Thohir da presidente dell’ Inter. Mancini è un top manager, con guadagni adeguati al suo lignaggio. Segno che il club torna a investire in modo massiccio, nonostante il passivo monstre (l’ultimo -87 milioni), nonostante il procedimento aperto dall’Uefa. Nei prossimi mesi le casse verranno rimpinguate, anche se non da una ricapitalizzazione ma tecnicamente da un finanziamento dei soci o da un’emissione di bond, che sono le uniche possibilità (oltre a un aumento di capitale in caso di ingresso di nuovi soci, per ora non previsto). Però l’Inter torna competitiva anche sul mercato e a gennaio potrebbero esserci novità. E’ già partita la caccia al nome più sfizioso, e ovviamente non ce n’è uno più suggestivo di Mario Balotelli: in fondo Mancini lo lanciò, lo fece esordire in A a 17 anni, lo portò al City, lo conosce meglio di tutti anche se pure il Mancio, alla fine, lo mollò al suo destino. Però, però.