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Repubblica – Mazzarri cambia e vince. Il tacco di Palacio manda l’Inter in paradiso…

Un derby molto anni Sessanta, senza striscioni, tifo ultrà e colori, è stato vinto dall’Inter in perfetto stile Herrera: catenaccio e contropiede appena si poteva, prima della pugnalata finale, il magnifico gol di tacco di Palacio su cross di...

Francesco Parrone

Un derby molto anni Sessanta, senza striscioni, tifo ultrà e colori, è stato vinto dall’Inter in perfetto stile Herrera: catenaccio e contropiede appena si poteva, prima della pugnalata finale, il magnifico gol di tacco di Palacio su cross di Guarin. Ma il colpo letale è stato preceduto dalla metamorfosi tattica, con l’abiura del difensivismo e la progressiva presa di possesso della partita da metà ripresa: al momento della vittoria erano in campo Kovacic e Icardi, oltre al suddetto goleador, il che dimostra il felice esito delle scelte di Mazzarri. L’effetto è il rilancio delle ambizioni europee dell’Inter e il deprimente congedo del Milan dal 2013: lo chiude al tredicesimo posto, a 27 punti dalla Juve, e i numeri dicono parecchio, anche se poi la decimazione per gli infortuni ha fatto il resto. Allegri, guardando la panchina per salvare il salvabile, ci ha trovato il solo semiconvalescente Pazzini. Invece del miracolo, nei minuti di recupero, è arrivata una rissa, con annessa espulsione di Muntari.

L’atmosfera dell’epilogo è stata triste come la maggior parte di questa sfida decadente per Milano. Per più di un’ora la sonnolenza dell’ambiente - con un brusio appena accennato in sottofondo, qualche buuu a De Jong e i fischi continui degli interisti a Balotelli - si è trasmessa per osmosi al campo. Ma il grigiore diffuso va attribuito senza eufemismi alla prevalente broccaggine degli interpreti, che ha finito per contagiare perfino Kakà: lo si è visto trascinarsi il pallone in fallo laterale per un controllo approssimativo. Il Milan ha osato soprattutto per forza d’inerzia. L’Inter, allarmata dalle quattro consecutive partite senza vittoria, si è infatti rintanata: talvolta pure l’eremita Palacio arretrava a difesa di Handanovic. Un ostacolo al palleggio, secondo i protagonisti, è stato il prato del Meazza, mai così sconnesso da quando l’alchimia tra erba naturale e artificiale lo ha reso accettabile. Certi tocchi goffi di Constant e Taider non dipendevano tuttavia dal terreno. Allegri ha cercato di ovviare al problema, arrischiando il debutto dall’inizio di Saponara trequartista.

L’intento era di iniettare un po’ di tecnica e di mantenere la rinomata coppia di punta Kakà-Balotelli, risparmiando al brasiliano sfiancanti rincorse, sotto gli occhi del suo ct Scolari. Non dissimile era il progetto di Mazzarri col tandem Palacio-Guarin, innescato esclusivamente in contropiede. Saponara, inguaiato dalla lentezza generale e dal fisiologico impaccio dell’esordiente, ha offerto appena qualche giocata di stile, come il promettente tunnel a Campagnaro, spegnendosi fino alla sostituzione con Matri. A Kakà e Balotelli (solita ammonizione per proteste, propedeutica all’azione del gol interista) è riuscita qualche fiammata, all’ubiquo Guarin un più che dignitoso addio: se vestirà la maglia del Chelsea, verrà rimpianto. Kakà ha presto sfiorato il centesimo gol da milanista con un diagonale, respinto da Handanovic, che si è poi ripetuto a inizio ripresa, su Balotelli in fuga. In compenso il portiere dell’Inter ha causato dopo mezz’ora, con un’uscita a vuoto, una mischia quasi fatale: lo ha graziato Poli. L’Inter, che ha per lo più cercato speranzosi tiri da distanze rugbistiche, può invece lamentarsi per la svista di Mazzoleni poco prima dell’intervallo, quando Zapata ha travolto Palacio in area per un anticipo mancato.

Il contrappasso sarebbe arrivato in coda alla serata: Palacio ha beffato Zapata col tacco capolavoro. Però il Milan era già finito alle corde per progressiva stanchezza e Mazzarri aveva messo sale sulla ferita, inserendo via via Kovacic, Kuzmanovic e Icardi: allo svecchiamento – fuori Zanetti e Cambiasso – si era accompagnata l’adesione all’offensivismo. Il premio è questa vittoria in bianco e nero, un po’ herreriana, e non è mica una bestemmia.