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Repubblica – Moratti saluta tra le lacrime, Mazzarri preoccupato dal Verona…

Francesco Parrone

Sono i giorni dell’ Inter. Finisce un’epoca e ne inizia un’altra per ora indecifrabile, perché nulla si sa di come sarà il club che verrà, chi lo guiderà davvero (Thohir verrà a Milano per Inter–Livorno del 9 novembre ma poi si...

Sono i giorni dell’ Inter. Finisce un’epoca e ne inizia un’altra per ora indecifrabile, perché nulla si sa di come sarà il club che verrà, chi lo guiderà davvero (Thohir verrà a Milano per Inter-Livorno del 9 novembre ma poi si vedrà di rado), quali idee introdurrà. La squadra, e il suo allenatore, in questa fase sembrano il vaso di coccio: è ben difficile restare calmi e indifferenti mentre intorno tutto cambia, e intanto le partite e lo stress incalzano, e stasera piomba a San Siro un Verona affamato di gloria.

Il domani è un’incognita ma intanto l’eredità di Moratti, a ben guardare, sta nel lungo tributo che gli riserva l’ultima assemblea dei soci (approvato l’ultimo pesante passivo di bilancio, -80 milioni), un minuto buono di applausi da una sala emozionatissima in cui qualcuno singhiozza e lui stesso ha la voce incrinata mentre ringrazia, e infine si alza in piedi e fa un inchino a tutti.

Sedici trofei vinti in 18 anni sono un’altra parte del suo lascito alla cordata di imprenditori indonesiani che si insedieranno ufficialmente il prossimo 15 novembre («Faccio un passo indietro, anzi un passo di fianco, perché i nuovi soci ci consentiranno di aprirci ad altri mercati»), ma non finisce qui. Perché Moratti ha un altro codicillo nel testamento calcistico, e lo riserva a Walter Mazzarri: «All’Inter non è come altrove.  È tutto diverso, è tutto più difficile. Se ne sta accorgendo anche Mazzarri, ma vedrete che farà benissimo». Sì, se ne sta accorgendo davvero, Walterone, uno che alle emozioni non è affatto impermeabile. Gli ultimi eventi negativi ne hanno accentuato quella sua tendenza a chiudersi nel bunker che è uno dei tratti distintivi dell’uomo, prima che del tecnico. È un filino nervoso, Mazzarri. Rifiuta di anticipare la solita conferenza stampa in orario preserale anche se si accavalla con l’assemblea dei soci, rifiuta di commentare il suo silenzio stampa di Torino, rifiuta di parlare dell’ormai lunga degenza di Campagnaro che salterà la quarta gara consecutiva («Come sta e quando torna? Domanda assurda, non faccio anche il chirurgo»), rifiuta l’idea che i numeri per ora non gli stiano dando ragione, perché prende male la domanda sull’Inter che non vince da tre partite ed è già a -3 rispetto a Stramaccioni: «Domanda molto provocatoria. Non parlo di bilanci parziali, né del passato». Si rilassa solo sui complimenti di Thohir nell’intervista a Repubblica: «Mi hanno fatto piacere, sono contento che abbia valutato bene il gioco e le prestazioni. Dimostra che all’estero c’è un altro modo di valutare, non pensando solo ai risultati. Faremo molta strada insieme». I due si sono anche parlati, o messaggiati, vallo a capire, perché ovviamente Walterone è ermetico: «Ho avuto un contatto con Thohir. Il resto non lo divulgo».

È teso, Mazzarri, perché il Verona è pericoloso, per alcuni è una piccola Roma, e si sa che la Roma qui ha fatto molto male col suo passaggio. Il tecnico vuole che la squadra ritrovi la tensione giusta: «Ci vuole un pizzico di apprensione e paura di sbagliare come succedeva all’inizio. Dobbiamo stare attenti a ogni taglio e ogni ripartenza. Non sottovalutare niente. Il Verona è temibile e velocissimo».

Da stasera si riparte. Ma attenzione a non sbandare ancora: in una situazione così strana, in questo bizzarro vuoto di potere che il club sta vivendo, ogni inciampo rischia di diventare un ruzzolone dalla conseguenze imprevedibili. Sarà per questo che Mazzarri si agita così tanto sulla sedia, mentre parla.