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In una domenica di fine ottobre Radja Nainggolan tirò un missile contro il Bologna, lo vide a bersaglio e pianse a dirotto, immobile sulla trequarti. Aveva appena segnato il primo gol in A e salvato momentaneamente la panchina di Pierpaolo Bisoli, l’allenatore che più aveva creduto in lui. Stava lì a indicare il cielo, sommerso dall’abbraccio di tutto il Cagliari: una settimana prima, la madre Lizy s’era arresa a una lunga malattia. Non ancora famoso, Radja, e neppure titolare fisso, quel pomeriggio svelò un po’ della sua storia: «Sono cresciuto con mia madre e mia nonna, gioco per mantenere la famiglia, ora dovrò pensare alle mie sorelle». Tre anni dopo, il centrocampista belga, 25 anni, è l’uomo del mercato, conteso da Milan, Inter, Roma, Juve, Psg. Nato ad Anversa, lì cresciuto nel Beerschot, notato a 15 anni dall’agente svizzero Alessandro Beltrami, fu proposto al Palermo ma preso a 17 dal Piacenza, su intuito di Graziano Bini, capo degli osservatori. Da lì, nel gennaio del 2010, il Cagliari lo prelevò in cambio di Sivakov, prestito con riscatto. Ma il rapporto con Allegri — che oggi, strana la vita, lo aspetta — fu un disastro, e le rare apparizioni infruttuose, come l’espulsione lampo contro il Chievo. Poi in estate arrivò Bisoli e convinse Cellino a tenerlo: «Diamogli una chance, questo ha dei numeri».
Lanciato al posto dell’infortunato Daniele Conti, Nainggolan in un autunno passò da carbone a diamante. Ha appena rinnovato per un milione a stagione, fino al 2016: Cellino, scaramantico, non voleva scrivere il ’17 sul contratto. Il nome è l’unico ricordo del papà indonesiano, che l’abbandonò a cinque anni. Radja vuol dire “Re”, Nainggolan è un cognome d’origine Batak, affascinante popolazione stanziata in palafitte sul lago Toba, Sumatra, ultima ad arrendersi ai coloni, avvolta da un’aura magica e misteriosa (dai poteri sovrannaturali attribuiti al sovrano Singamangaradja fino al rito di cannibalizzare nemici e delinquenti). In verità, il giocatore rossoblù in Indonesia non c’era mai stato fino all’ultima estate: è stato accolto come una star, anche se ha scelto la maglia del Belgio (quattro presenze, l’ultima nel 2011). Ha una gemella, Riana, che gioca nell’Anversa, porta la cresta come lui anche se segna qualche gol in più. Radja provvede alla famiglia, ha anche un fratello e due sorelle germani. Lo chiamano il Ninja, è amico per la pelle di Pinilla, nel senso che il cileno si è tatuato due carte da gioco con i loro numeri di maglia.
Pure Nainggolan va matto per i tatuaggi: sul petto ha una scritta vistosa, “One life, one wish”, sulle spalle un enorme paio d’ali in ricordo di sua madre. Porta addosso nomi e numeri dei familiari, ha sfoggiato il torso nudo trapuntato di stelle e scritte per un volume di Dolce&Gabbana, e ogni volta che a Quartu c’è la fiera dei tattoo ne approfitta per allungare la storia scritta sulla corteccia: di recente ha aggiunto una carpa sul braccio sinistro, in Oriente è simbolo di coraggio. Adora la bistecca con patate e il frullato alla banana, la playstation e i cappellini, prima della partita si carica ascoltando rhythm and blues, e in settimana è sempre su Twitter, con qualche evitabile gaffe. Come quando ritwittò un messaggio offensivo di un tifoso contro i napoletani («Colerosi») e poi si scusò spiegando di non conoscere il significato del termine. In Sardegna ha trovato Claudia, sua moglie da due anni, che gli ha dato la piccola Aysha: vivono insieme a Serramanna, l’ha conquistata dopo nove mesi di corteggiamento.
Una sera, racconta lei, le ha fatto trovare a casa cento candele con una domanda, “vuoi sposarmi?”. Principe del tackle in A (278 in 3 anni, secondo Opta Sport), non ha fretta di partire, anzi s’arrabbia se qualcuno osa dire che il Cagliari non è una big, «sono in una grande squadra, stare qui non mi penalizza». Ed è in prima fila nella beneficenza, come ha dimostrato dopo l’alluvione che ha ferito l’isola che da tempo sente sinceramente sua.
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