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Doveva arrivare, il giorno. La strada si impenna di colpo, le sfumature non ti premiano, i primi scricchiolii sul piano della lucidità generale. Così lo svantaggio lo devi recuperare tu, la traversa la colpisci tu, e alla fine in campo festeggiano gli altri, mai successo finora. Secondo la Repubblica è il primo giorno veramente amaro di Spalletti, questo Inter-Torino 1-1 della prima mancata vittoria a San Siro e della presa di coscienza: fin qui ci siamo arrampicati oltre i nostri limiti, anche grazie a uno straordinario pubblico (ieri 72mila, media presenze a 60mila), ma ora servirebbero alternative, freschezza, variazioni. Ma il gruppo Suningda questo orecchio non ci sente. L’Inter merita lodi per il cammino fin qui sorprendente, eppure il boss Zhang Jindong da Nanchino non compirà sforzi a gennaio, anche se un paio di investimenti felici potrebbero avvicinare la squadra alla zona Champions, però la risposta è no, chissà perché. Non può essere solo il piano di rientro con l’Uefa a pesare, perché poi una qualificazione all’Europa che conta aggiusterebbe il bilancio, quindi quali sono le remore, quali i dubbi, o quali le oscure strategie? Il Toro di Mihajlovic, pur con un Belotti ancora in ritardo, strappa il pari con muscoli, convinzione e strategia, le armi dell’Inter fin qui. Gioca sulla pelle dell’avversario per metterne a nudo i limiti, come aveva fatto Spalletti finora con gli altri: qui ci sono tre marcature a uomo, ferocissime, sui tre centrocampisti centrali dell’Inter, Vecino, Gagliardini e Borja Valero, tampinati da Obi, Baselli e Rincon, e tutta la manovra ne risente, poi le cattive giornate di Icardi e Perisic, appannati e acciaccati (Maurito salterà la nazionale per infortunio), fanno il resto: il gol del pari, dopo il sinistro in buca d’angolo di Iago Falque, dovrà segnarlo Eder.
Un paio di occasioni fallite da Icardi, la traversa di Vecino nel finale (l’Inter con 8 legni colpiti è seconda solo alla Roma) e uno spirito comunque ruggente non leniscono il dolore per il pareggio, ma è stata una di quelle partite che si potevano vincere, perdere o pareggiare per un nonnulla, e il pari in fondo allunga la serie di imbattibilità a 12 partite, come nel 2007. Ma a forza di essere uguale a se stessa, con la sesta identica formazione in 12 turni, l’Inter rischia pure di diventare prevedibile, come ha evidenziato Mihajlovic. Le manca dannatamente un rifinitore classico, che in partite bloccate servirebbe come l’aria, ma non c’è, né può esserlo il malinconicissimo Joao Mario, campione d’Europada panchina; le manca un regista basico, da primi tocchi, ma non c’è; le manca un altro difensore centrale, più affidabile di Ranocchia, che nei periodi di scarsa vena di Miranda (come quello attuale) possa rilevarlo, ma non c’è. Spalletti ha alternative minime, per questo gioca sempre con gli stessi, ma a un terzo di campionato è evidente che gli uomini sono pochi e non potranno tirare la carretta fino a maggio. Eppure da Nanchino tacciono. Suninginveste sulle infrastrutture, sul riempimento dello stadio, sul marketing, sul potenziamento dei social, insomma tutto ciò che c’è intorno,ma al momento di rafforzare davvero la squadra arriva la frenata. Che vorrà dire?
(Fonte: Andrea Sorrentino, la Repubblica 6/11/17)
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