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Il quotidiano la Repubblica, fa il punto sulle rose di alcune big di Serie A che rispetto al passato hanno cambiato il loro 'dna vincente': "Negli anni Ottanta, per festeggiare lo scudetto della Roma, Little Tony incise una canzoncina dal titolo "Roma brasileira". Testimonianza vintage ma efficace di un legame fortissimo, ancora vivo fino a qualche mese fa se c’era chi sosteneva che l’italiano a Trigoria fosse la seconda lingua più parlata dopo il portoghese dei brasiliani. Era un modo per mettere l’accento sul dna della squadra di Di Francesco, che di brasiliani in rosa ne aveva sei. Poi è successo qualcosa. Juan Jesus, il primo ad accorgersene, l’ha sintetizzato qualche settimana fa con un’immagine social in cui tracciava una croce sui connazionali venduti: il primo, Emerson Palmieri a gennaio, poi Bruno Peres, Gerson, Alisson, ieri pure Castan, che ha rescisso il suo contratto con la Roma per tornare in Brasile. Certo sarebbe diverso se al gruppo si fosse aggiunto Malcom, ma l’ala brasiliana che la Roma stava comprando dal Bordeaux ha incrociato i giallorossi solo sul campo, segnando tra l’altro, nella notte di martedì con la maglia del Barcellona. Nonostante l’arrivo del giovane 3° portiere Fuzato, quasi una "debrasilianizzazione" di Trigoria. Come se la squadra di Falcao e Aldair, che storicamente ha legato i propri colori alla bandiera verdeoro avesse improvvisamente scelto di rinunciare a quelle radici.
Ogni grande ne ha, più o meno marcate. Ma - forse per non farsi schiacciare dal loro peso - tutte hanno scelto di dimenticarle. A Milano tra Milan e Inter giocano 6 croati, altro che derby Olanda- Germania. Persino peggio il borsino tedesco dell’Inter: dallo scudetto di Matthäus e Brehme e dall’arrivo di Klinsmann, ricorreranno a breve trent’anni. Ma il nerazzurro non lo indossa nessun calciatore nato in Germania da tre, quando Lukas Podolski lasciò Milano dopo sei mesi da comparsa".
(Fonte: Matteo Pinci, la Repubblica 2/8/18)
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