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Repubblica – Serie A, è flop delle proprietà straniere. Un miliardo di euro andato in fumo…

Francesco Parrone

I destini comuni di Roma, Inter, Milan e Bologna: le spese sul mercato, i conti da risanare, la convivenza con il fair play finanziario, le difficoltà in campo

Un miliardo e trecento milioni investiti, duecento calciatori acquistati, quindici allenatori assunti. E zero trofei. La “legione straniera” della Serie A ha fatto flop, gli sceicchi che “comprano” scudetti e riscrivono la storia delle loro società non abitano qui. Tom Di Benedetto (poi svanito) e James Pallotta aprirono le frontiere rilevando la Roma nel 2011. Seguirono Joey Saputo a Bologna, Erick Thohir e poi il gruppo Suning all’ Inter fino a Li Yonghong al Milan: tutti salutati come i salvatori della patria, l’elettroshock esterofilo in grado di rinnovare il provincialissimo calcio tricolore. Non è andata così, i risultati sono rimasti gli stessi e il bilancio sportivo è nero: unica gioia, la promozione del Bologna in A (e 2 tornei Primavera).

Quello finanziario invece è in rosso: i Re Mida arrivati da oltre frontiera hanno perso 460 milioni. Per i Paperoni, sono più allettanti Parigi o la ricca Premier League, dove le prime 4 in classifica hanno un padrone straniero. Pallotta & C.hanno ereditato debiti stellari e passivi cronici e sono costretti a muoversi nelle maglie strettissime imposte dal fair play finanziario: da Dzeko a Icardi, da Skriniar a Donnarumma, mettere all’asta l’argenteria è inevitabile per evitare il cartellino giallo della Fifa. I tifosi li accusano di tener troppo stretti i cordini della borsa. Ma Pallotta ha versato nella Roma quasi 290 milioni, la famiglia Suning ha scommesso sull’ Inter 530 milioni in 19 mesi, Saputo ha staccato un assegno da 100 milioni per i rossoblù. E il misterioso Li Yonghong ha rafforzato il capitale dei rossoneri con 60 milioni, ne ha spesi 220 sul mercato e si è indebitata per 420 per acquistarli. In tutto 1.118 milioni spesi sul mercato. Una montagna d’oro divorata da strutture societarie che tra stipendi folli, acquisti sbagliati (vedi Gabigol e Joao Mario, costati 77 milioni all’ Inter), zero stadi di proprietà, sono ancora macchine mangiasoldi. E i propositi di modernizzare le forme di ricavo - diffusione del brand e suoi derivati - si scontrano con la realtà.

La Roma s’è affidata alle plusvalenze - 320 milioni in 5 anni, 100 nell’ultimo - movimentando 190 calciatori. Ma ha comunque perso 231 milioni. La maglia è senza sponsor per il quinto anno di fila: Pallotta vuole almeno 10 milioni, ma così ne ha già persi 30. I ricavi li gonfiano i soldi della Champions, ma i debiti sono raddoppiati a 210 milioni: «La Roma decollerà col nuovo stadio», giura lui, che da anni cerca un socio. O, secondo qualcuno, addirittura un compratore.

Secondo la Repubblica Suning sta battendo una strada diversa e nel 2017 le entrate sono cresciute del 33% grazie a marketing e sponsor. Peccato che il balzo sia figlio dei 56 milioni per i diritti del nome sul centro d’allenamento e le sponsorizzazioni in Cina versati da Suning. Che dovrà trovare altri investitori per diversificare rischi e entrate. Quest’anno ha l’obbligo di centrare il pareggio per non finire nel tritacarne del Fair Play e all’appello mancano circa 40 milioni. A Spalletti avevano promesso Di Maria e Pastore, poi ha scoperto di doversi accontentare di Karamoh e Cancelo. E a giugno il club può monetizzare le super-richieste per Icardi e Skriniar, incassando 160 milioni con cui rifare la squadra.

A Bologna i tifosi non pretendono tutto e subito come a Milano e Roma, ma l’aspettativa di lottare con le grandi grazie ai soldi delle mozzarelle di Saputo è rimasta delusa. Sognavano Mancini in panchina e una squadra da Champions, il club invece va con i piedi di piombo. Ha aumentato da 7 a 11 milioni i ricavi commerciali, qualche plusvalenza (Diawara) ha tamponato i buchi, quest’anno può arrivare l’utile operativo. Per il salto serve lo stadio: il progetto per ristrutturare il Dall’Ara, voluto dal Comune, rischia però di limare i piani al ribasso. Difficile che la new entry del Milan cinese riesca nel breve termine a cancellare il flop collettivo dei team a guida estera. I soci stanno lottando per onorare i debiti contratti per l’acquisto e per finanziare il pirotecnico mercato 2017. La scommessa è chiara: arrivare in Champions e far esplodere i ricavi nel Far East per far funzionare il gioco. La campagna d’Oriente fatica però a decollare e la Champions è un miraggio: pure il Diavolo così rischia di finire nel mausoleo delle incompiute della Legione straniera.

(Fonte: Ettore Livini, Matteo Pinci, la Repubblica 7/2/18)