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Mazzarri è in silenzio, da qualche parte dello Stivale. Il giornalista di Repubblica Andrea Sorrentino parla così del suo addio: «Sta riavvolgendo il nastro della sua avventura e tutto gli appare chiaro: i suoi errori, i complotti altrui, le macchinazioni, i risultati che in fondo c’entrano poco. Fin dal peccato originale, l’errore primigenio che lui si rimprovera da tempo: l’aver accettato la panchina nerazzurra, convinto dal fascino di Moratti e dal gran nome del club. In quel colloquio di 18 mesi fa, mentre è faccia a faccia con Moratti, Mazzarri ha in tasca il telefonino che vibra senza soste: è Walter Sabatini che lo cerca con urgenza, la Roma lo vuole da settimane ma Walter ora ha davanti l’Inter, il sogno di una vita, e se ne fa sedurre. Anche se in quel colloquio presenta una lista di giocatori e Moratti la mette gentilmente da parte, rovesciando il foglio con un sorriso. Anche se il grande presidente gli dice che mica sono vere quelle chiacchiere sulla cessione all’indonesiano, che non deve preoccuparsi.
Invece mesi dopo Thohir rileva il club, anche se ancora una settimana prima delle firme Moratti nega tutto. Inizia il ribaltone e il tecnico si trova di fronte una situazione kafkiana: i nuovi dirigenti e i vecchi in guerra, lui e la squadra in mezzo, si naviga a vista. Poi i nuovi gli chiedono di avallare le loro scelte, che però sono anche quelle di Walter: radere al suolo la vecchia Inter, ripartire da zero. Via il medico sociale e il gruppo storico di argentini. Walter avalla e adesso, ripensandoci, capisce che quella è stata la sua fine, e come ogni fine ha un inizio ben preciso: 10 maggio 2014, Inter-Lazio, penultima di campionato. La sera del primo agguato. Gli argentini sanno che andranno via dall’Inter, il gruppo morattiano percepisce l’ariaccia. Serve una vittoria per centrare l’obiettivo dell’Europa League, ma è anche la sera dell’addio a San Siro di Zanetti giocatore. Mazzarri lascia in panchina il grande capitano e alla lettura delle formazioni arrivano valanghe di fischi. E dire che non c’è neppure la curva, da tempo ostile ai Moratti, perché squalificata. Quello è il segnale, secondo Mazzarri, che la controrivoluzione affila le armi».
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