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Rizzoli: “Arbitri pronti ma niente ritiro totale. Giocatori a distanza? Per chi protesterà…”

Il designatore arbitrale della Can A ha discusso della sosta dal punto di vista arbitrale

Matteo Pifferi

Lunga intervista concessa da Nicola Rizzolia La Gazzetta dello Sport. Il designatore arbitrale della Can A ha discusso della sosta dal punto di vista arbitrale.

Rizzoli, vi siete fermati come tutto il Paese. Come hanno vissuto gli arbitri questa sosta?

«I primi dieci giorni dallo stop al campionato anche per gli arbitri sono stati l’occasione per uno stop completo, l’hanno usato come occasione per stare con le proprie famiglie in un momento molto difficile. Poi abbiamo ricominciato con incontri video e riunioni tecniche a distanza. Ma con tutti ci siamo sentiti sempre e comunque. Avvertivo parlando con loro una differenza in chi vive in zone più colpite dal virus, penso agli arbitri lombardi, rispetto a quelli del Sud. E nelle prime settimane a questo si è aggiunta l’attesa per chi aveva arbitrato partite in cui ci sono stati giocatori positivi. Poi, risentirsi tutti insieme è stato un bel momento perché ha dato la sensazione di ricominciare. Certo, parlarne ora rispetto a un mese fa significa farlo in uno scenario completamente diverso, ma tutti sono stati in attesa, nessuno ha fatto ipotesi o discorsi personali».

Le squadre si stanno ritrovando dopo uno stop fatto di allenamenti a casa, anche per gli arbitri è stato così?

«Per ciascuno c’è stato un programma di allenamento personalizzato in base agli spazi che aveva. Chi aveva la palestrina in casa ha avuto la possibilità di fare pesi e ginnastiche mirate, ma bene o male chiunque è riuscito a fare gli esercizi di base. Chi aveva anche spazi esterni privati e ha potuto fare test e allenamenti probatori come lo yo-yo (un esercizio con sforzi progressivamente crescenti, ndr) confrontandosi col preparatore atletico. Da quando c’è stata la possibilità di uscire poi, non avendo ancora i nostri poli di allenamento disponibili, tutti si sono allenati anche sulla corsa individualmente in un programma comune per tutti».

Qual è lo stato di forma in cui li avete trovati?

«È buono, lo verificheremo presto con più precisione, ma è buono. Certo, rimettere in forma un arbitro è più semplice rispetto a un giocatore: non c’è l’impatto, non c’è lo scontro fisico. Tanto lavoro va sul piano anaerobico e su quello della reattività. I problemi più grossi, vedendo anche il campionato tedesco, ci sono sui giocatori, ma con le 5 sostituzioni le squadre arrivano più fresche alla fine».

In base al documento della Lega non ci sarà un ritiro totale per gli arbitri. Comunque vi radunerete, come e quando?

«Fermo restando che aspettiamo anche noi l’incontro del 28 maggio col ministro Spadafora, abbiamo alcune ipotesi. A partire da un raduno di controllo anche medico-clinico per una settimana in una delle nostre sedi (Coverciano o l’Acqua acetosa, la location è ancora da stabilire, ndr). Si terrà prima della ripresa del campionato. Anche perché in tempi normali, dopo il campionato, fra giugno e inizio luglio facciamo tutte le visite, quindi i certificati sarebbero in scadenza a stagione ripresa. Considerando quanto sarà fitto il calendario sarà l’occasione per farli insieme a tutti i test fisici per vedere il grado di affidabilità degli arbitri. E con i tamponi e i test sierologici che stabilirà il protocollo. Se non fosse possibile per motivi che stabilirà il medico Pizzi faremo gli stessi controlli non in ritiro ma individualmente nelle varie sedi degli arbitri».

Il ritiro totale avrebbe comportato difficoltà?

«L’obiettivo principale della Federazione è quello di garantire il campionato. La squadra arbitrale non può essere paragonata a una squadra di calciatori, anche sul fronte professionistico: pensiamo agli assistenti, tutti lavorano perché non possono permettersi di vivere con lo stipendio da assistenti. Ma questo è il problema relativo. La differenza principale tra le squadre e gli arbitri è che se dovessimo fare per tutti i nostri un ritiro chiuso - cioè con tutti insieme in un unico posto e si va alle partite dopo aver effettuato i tamponi - avremmo nel gruppo circa 100 persone fra arbitri di A e B, assistenti, numero che salirebbe ulteriormente con lo staff tecnico. Di questi ogni giornata 10 gruppi da 6 partirebbero per dieci posti diversi. Partirebbero puliti e sicuri dopo aver fatto il tampone, al rientro il tampone verrebbe fatto una volta rientrati nel gruppo. Se durante il viaggio uno di questi contrae il virus a quel punto devi fermare tutti, questo significa non garantire il campionato. Anche con la Uefa e le varie federazioni con cui abbiamo un panel in cui ci confrontiamo con gli altri designatori una delle prime considerazioni che abbiamo fatto era proprio questa: il ritiro chiuso per gli arbitri, che non viaggiano con charter o treni riservati come i calciatori, avrebbe amplificato il rischio. Quindi isolarli è meglio che assembrarli. Superato questo scoglio il problema più grosso per gli arbitri adesso è come fare i tamponi a ciascuno nella propria sede perché quando ciascuno parte per arbitrare dovrà essere nelle condizioni di aver fatto il tampone. Ma è una cosa che stiamo verificando, abbiamo delle ipotesi, ma anche per questo aspettiamo le decisioni e il protocollo.

Il presidente Nicchi, qualche settimana fa alla Gazzetta, non aveva escluso che per ridurre la mobilità si potesse designare un arbitro anche per una partita più vicina al suo luogo di residenza. Era un momento diverso da questo, ma è ancora un’opzione sul tavolo?

«Voglio essere chiaro: di base verrà designato sempre l’arbitro migliore per la partita che deve dirigere, anche se è ovvio che abbiamo un pool di arbitri in grado di fare qualunque partita. Poi le considerazioni sul viaggio, sul modo in cui dovranno spostarsi, sui pernottamenti, sono elementi che saranno tenuti in considerazione, ma non come priorità, ma per semplificare e per salvaguardare tutti. L’obiettivo principale è evitare che un arbitro diventi positivo, perché in quel caso bisogna andare a ritroso per individuare tutti i suoi contatti. Tutti dovranno essere facilmente tracciabili e isolabili per finire il campionato anche con la possibilità che qualcuno possa diventare positivo, minimizzando il rischio - che non potrà mai essere zero - grazie ai protocolli».

L’Italia si è scoperta smart, usando la tecnologia per accorciare le distanze fisiche in ogni settore. Vale anche per voi?

«Il vantaggio di questi momenti è che trovi risorse alternative molto valide in tempi molto più brevi. Nel nostro caso abbiamo trovato una app, si chiama Future, che ci permette in modo istantaneo, poco dopo la fine della partita, di condividere con gli arbitri tutte le situazioni e di discuterne tutti insieme. Questo consente di trovarci poi tutti in videoconferenza avendo già mandato tutte le clip da analizzare agli arbitri per poi discuterne tutti assieme. Il confronto tecnico sarà molto più veloce e con una tecnologia ad altissima sicurezza: è un software originariamente usato dalle banche. Così non c’è pericolo che venga usata da persone non interessate. Ci è stata concessa e la stiamo provando ma abbiamo già visto che i risultati sono molto positivi. Dopo l’emergenza, per quanto mi riguarda, non dovremo dimenticarci di tutto e tornare al passato: questo ad esempio sarà uno strumento che, se ampliato e usato in maniera adeguata, si rivelerà importante per il futuro, non solo per la Serie A: studiata bene potrebbe essere un elemento di sviluppo della tecnica arbitrale in generale».

Capitolo proteste: il documento predisposto dalla Lega dice chiaramente che saranno vietate le proteste nei confronti degli arbitri e le distanze di sicurezza.

«Stiamo parlando di correttezza, che dovrebbe già esserci da un punto di vista del rispetto e che prevede che per parlare ci siano solo due persone. L’emergenza legata al virus ci impone la distanza e quindi laddove il capitano verrà a parlare con la giusta distanza e i giusti modi l’arbitro parlerà. Se istintivamente, perché l’istinto e l’adrenalina sono comprensibili, verrà troppo di corsa dimenticando la distanza sarà invitato a mantenersi a un metro e mezzo. Solo se si va oltre il rispetto e la correttezza sarà necessario ammonirlo per comportamento antisportivo. Insomma, è solo un rafforzativo di quello che è un passo culturale da compiere, ma è quello che abbiamo sempre fatto: quando ci sono stati troppi giocatori a protestare dall’arbitro, il direttore di gara non ha parlato, ma ha cercato il capitano chiedendogli di mandare via i compagni per poi parlare».

Della serie “ne usciremo migliori”?

«È un’opportunità. Da queste situazioni dobbiamo imparare cosa migliorare e questo vale per tutti, non parlo solo di calcio. E nel nostro caso questi comportamenti possono diventare un bel messaggio: la gente vedrà un rispetto maggiore, con le distanze ed i modi giusti e in quel caso il dialogo ci sarà, se si deve venire addosso a protestare allora ci sarà un deterrente in più contro questo atteggiamento aggressivo».

Capitolo Var, alla ripresa ci sarà, con postazioni messe in sicurezza e con 3 persone anziché 4 (il quarto, l’operatore che invia le clip alle regie, sarà altrove). Ma se la Var room unica a Coverciano fosse stata pronta non sarebbe stato un vantaggio in una fase come questa?

«Potenzialmente sì e potenzialmente no. Tedeschi e spagnoli, ad esempio, hanno valutato fino all’ultimo la sala unica a rispetto alle varie postazioni negli stadi. E anche lì si è scelto di mantenere le persone separate anziché assembrarle. Ripeto, dobbiamo fare in modo di non aver positivi, perché si complicherebbe tutto. Anche se c’è da dire che per come è progettata la Var Room di Coverciano garantirebbe il distanziamento anti-contagio rispetto ad altre che usano sale uniche, mentre noi come gli spagnoli avremo postazioni separate e chiuse e con ventilazione autonoma».