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Rocchi nella Hall of Fame: “Arbitrare una droga, non riesci più a smettere”

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Sono contentissimo e orgoglioso di ricevere questo premio - dichiara il quarto miglior arbitro al mondo nel 2019

Andrea Della Sala

(ANSA) - ROMA, 31 MAR - Con 263 partite all'attivo è al secondo posto nella classifica di tutti i tempi di gare dirette in Serie A, alle spalle di un'icona del mondo arbitrale come Concetto Lo Bello. Premiato due volte come miglior arbitro italiano nelle stagioni 2017/2018 e 2018/2019, Gianluca Rocchi fa ora il suo ingresso nella 'Hall of Fame del Calcio Italiano' raggiungendo una schiera di colleghi illustri, da Luigi Agnolin a Paolo Casarin, da Pierluigi Collina a Roberto Rosetti e Nicola Rizzoli.

Lo frende noto la Figc.

"Sono contentissimo e orgoglioso di ricevere questo premio - dichiara il quarto miglior arbitro al mondo nel 2019 secondo la classifica dell'Iffhs - non avrei mai immaginato di poter entrare nella 'Hall of Fame'. I nomi dei premiati che mi hanno preceduto rendono l'idea dell'importanza di questo riconoscimento, ognuno di questi grandi arbitri ha fatto a suo modo la storia. Ognuno con la sua personalità, ognuno con il suo stile. Perché non esiste un arbitro uguale ad un altro".

È lunga la strada per arrivare in Serie A, un cammino che parte dai campetti di periferia e che richiede tanta tenacia e perseveranza. Ma soprattutto passione, l'unica vera spinta per superare quegli ostacoli che ogni arbitro incontra domenica dopo domenica. "Sicuramente bisogna fare tanti sacrifici, ma le soddisfazioni sono tantissime - dice Rocchi -. Ogni volta che fischi l'inizio di una partita, che sia un match di Promozione o la finale del Mondiale, ti metti in gioco. E' una sfida con se stessi. La personalità è fondamentale, ma si può formare con il tempo. Un arbitro deve avere innanzitutto un profondo senso di giustizia, deve essere onesto intellettualmente ed essere innamorato del calcio".

Un amore che sboccia da bambini, quando la rinuncia a calciare un pallone può essere il primo passo per un ingresso nel mondo del calcio da un'altra porta, non per questo secondaria. "Avevo quindici anni, giocavo a centrocampo ma senza avere grandi prospettive - racconta l'attuale designatore di A e B -. E così ho deciso di restare in campo ma con un nuovo punto di vista.

Arbitrare è una droga, quando inizi non vuoi più smettere. Chi ha fatto l'arbitro resta arbitro tutta la vita". (ANSA).

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