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Remo Ruffini, presidente e a.d. di Moncler, interista di cuore e partner del club dal 2021, ha parlato a La Gazzetta dello Sport del suo rapporto con l'Inter. Oggi viene presentato a San Siro il capo in edizione limitata e, in un giorno assai delicato, è un augurio di bellezza anche per Inzaghi.
«Moncler nasce nel 1952 dal legame con la montagna, e negli ultimi 20 anni, è atterrata felicemente in città. Ora festeggiamo in un mondo cambiato, oggi nel lusso il consumatore vuole più un’esperienza che un prodotto. La sfida futura sarà trasformare ciò che viviamo in negozio o allo stadio nel digitale. O, chissà, nel metaverso».
«Cosa c’entra Moncler col calcio? Forse niente, ma la contaminazione di culture diverse genera emozioni. Poi per esistere, il lusso deve essere sempre più inclusivo. Tra l’altro, ho sempre visto l’Inter come un marchio sofisticato, diverso da altre squadre, eppure resta un club che unisce, include, porta 80mila persone a San Siro».
«Una passione enorme fino a 25 anni, poi ho avuto meno tempo... Sono legato al ricordo di Altobelli e Rummenigge: molti dei calciatori di quegli anni abitavano nella mia zona, vicino al lago di Como. Li beccavo in un ristorante che era un vero covo di interisti».
«Per aver rilevanza nel mondo digitale devi fare esperienze fisiche importanti, come questa: sarà bello vedere arrivare i giocatori con questo capo. L’ho disegnato direttamente io ed è stato un ritorno alle passioni giovanili: ho ripensato alla voce di Ciotti e Ameri in radio e a me 18enne con la portiera aperta per ascoltare l’Inter...».
«E io torno allo stadio dopo il derby della doppietta di Giroud... Speriamo che questo evento faccia dimenticare i brutti ricordi dello scudetto perso e aiuti a superare anche la sconfitta con la Juve».
«Ci siamo conosciuti a un nostro evento, aveva addosso un Moncler di due anni prima: amava già allora il marchio! Col tempo è nato un rapporto più di collaborazione e amicizia che sponsorizzazione: noi stiamo ai confini del campo, sentiamo il profumo dell’erba senza entrarci. Anche quello di Steven è un incrocio di culture, non certo facile. Lui è curioso, appassionato di moda e di Italia, ma arriva da un altro mondo. È entrato in un settore difficile ed è stato bravo a vincere. A dare valore».
«Mi limito a dire che ha fatto un ottimo lavoro. Se rimarrà a lungo, non si può che essere contenti: a parte qualche sconfitta quest’anno, i risultati sono evidenti».
«È un uomo elegante, gli piace molto il bel gioco. In fondo, ogni azienda ha sempre due strade: o vendere in qualunque modo o provare a farlo facendo divertire il consumatore. Certo, poi tutti dobbiamo portare i risultati agli investitori, ma a me piace chi insegue il bello. E mi piace una squadra con giocatori profondamente interisti, come Dimarco, Bastoni e Barella: rappresentano al meglio la “marca” Inter, l’identità profonda. Quel senso di famiglia che fa la differenza in un’azienda».
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