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Rummenigge: “Calcio non è in condizioni disperate, sentenza Superlega non cambierà nulla”

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"Il fair play finanziario va migliorato, società come il Barcellona hanno debiti sopra al miliardo", propone Rummenigge
Matteo Pifferi Redattore 

Karl-Heinz Rummenigge ha rilasciato un'intervista al Corriere della Sera dopo la sentenza della Corte di Giustizia UE sulla Superlega:

«Tutto sommato mi aspettavo la sentenza della Corte europea, perché già in passato si è espressa a favore della competitività. Sono stato 7-8 volte a Bruxelles a parlare con i commissari per trovare una soluzione che riconoscesse la specificità dello sport e della sua cultura in Europa, che è diversa da quella americana. Per questo non sono così sorpreso. Ma quello che è stato deciso non cambia nulla».


Non teme un effetto caos?

«Secondo me nessun club tedesco, francese, inglese e spero anche italiano è disposto a far parte della Superlega. Possono farla le due spagnole, ma non mi sembra un torneo che può danneggiare il calcio europeo».

Quando sente il presidente del Real Madrid Florentino Perez dire che è «un giorno storico e che il calcio da adesso è libero» cosa pensa?

«Libero in senso legale, ma non libero in senso morale».

E in senso economico? Lei ha sempre detto che la Superlega era una «mossa da disperati».

«Non credo che il calcio sia disperato: l’importante è gestire la tua società secondo la tua filosofia. Ogni Paese ha la sua, ma in Champions non vincono sempre le inglesi, c’è molto equilibrio».

Rummenigge: “Calcio non è in condizioni disperate, sentenza Superlega non cambierà nulla”- immagine 2

Per coerenza Real, Barcellona e altri club d’accordo con loro dovrebbero uscire da campionati e coppe?

«Spero di no, sono due società storiche. E spero che restino nella famiglia del calcio europeo, diciamo in pace».

Si aspetta un ritorno in scena di Andrea Agnelli?

«Mi è molto dispiaciuto come sono andate le cose, il nostro rapporto era amichevole, come lo era quello tra lui e Ceferin, che è rimasto molto amareggiato da tutta la vicenda. Spero che Andrea torni, perché ho sempre avuto la sensazione che a lui il calcio piaccia per davvero».

Giocatori e allenatori sono contro la Superlega?

«La mia sensazione è che nessuno sia a favore di una rivoluzione che esiste sulla carta: non viene rimessa in vita da una sentenza che ognuno ha il diritto di interpretare come vuole, la Superlega è morta e non troveranno società che ne vogliano far parte».

Nel progetto si parla di 64 squadre, con tre categorie, promozioni, retrocessione e soprattutto streaming tv gratuito per il pubblico.

«La Superlega vera era un format di 20 squadre. Se adesso vogliono allargarsi diventa chiaro che è una specie di alibi davanti a chi ha pronunciato questa sentenza».

Pensa che la Uefa abbia fatto errori di valutazione?

«Il calcio non dipende solo dai soldi, ma anche dal merito di chi si qualifica o meno a un torneo. Il lato sportivo è fondamentale. È importante essere democratici e la Uefa ha dimostrato di esserlo. Il mondo ideale forse non si troverà mai, ma di fronte alla guerra della Superlega, la Uefa ha difeso una struttura che da una vita funziona. Per tutti».

Lei è sempre stato critico sulla scarsa sostenibilità del calcio. Che futuro vede?

«Abbiamo creato un’industria che alla lunga non può funzionare: ogni giorno al Bayern pensavo che dovevamo incassare una certa somma per accontentare giocatori e agenti. Non si può continuare all’infinito».

Quali rimedi vede?

«Il fair play finanziario va migliorato, società come il Barcellona hanno debiti sopra al miliardo. Possiamo permetterci di spendere sempre di più? Dobbiamo essere molto più disciplinati nel calcio».

Il salary cap può aiutare?

«Secondo me sì».

Come negli Usa?

«Sì, ma per il resto la cultura dello sport americano con la competizione chiusa e le licenze da comprare qui non funziona: società come Sassuolo o Frosinone meritano di stare in A perché lavorano bene, non perché si sono comprate il diritto di esserci».

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