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Rummenigge: “Inter, preoccupato per la situazione finanziaria. Conte? Il suo addio…”

Matteo Pifferi

Nel corso di un'ampia intervista concessa a La Gazzetta dello Sport, Karl-Heinz Rummenigge ha parlato anche di Inter

Nel corso di un'ampia intervista concessa a La Gazzetta dello Sport, Karl-Heinz Rummenigge ha parlato anche di Inter:

Da ex interista: più contento per lo scudetto o preoccupato per l’addio di Conte e il ridimensionamento economico?

«Tutte due. Sono contento perché è tornato lo scudetto dopo tanti anni: fa bene al club e fa bene ai tifosi, ma tutto quello che sento dal lato finanziario mi preoccupa perché certamente la pandemia ha danneggiato tutto il mondo e anche il calcio, ma la partenza di Conte è un problema, perché lui ha gestito tutto in modo eccezionale prendendo il titolo. Mi ha dato la sensazione che tra squadra e allenatore ci fosse un legame forte: auguro all’Inter di gestire la situazione finanziaria perché può condizionare tutto il club, è da evitare».

Si ricorda quando il Bayern cedette Rummenigge a Pellegrini per salvare la società in cattive acque?

«Non siamo a quei tempi. Ma non mi aspetto grandi affari dal mercato adesso. Si faranno i colpi alla fine e quelli maggiori saranno delle inglesi, le uniche che hanno ancora soldi. L’effetto del virus durerà a lungo».

Quanto impiegherà il calcio a uscire da questa situazione? E come?

«Sperando che la pandemia finisca, l’effetto sul mondo del pallone durerà ancora almeno due anni. Devono tornare i tifosi allo stadio per la cultura del calcio che ha bisogno dell’atmosfera e dell’emozione della gente. E poi c’è il lato finanziario. Gli stadi vuoti hanno danneggiato entrambi gli aspetti. Vanno diminuiti i costi generali: cartellini, già sono scesi, stipendi e commissioni degli agenti. Fifa e Uefa ci devono aiutare, non si può più andare solo su con le spese, bisogna tornare sulla terra».

In 30 anni da dirigente, il Bayern ha avuto uno sviluppo economico-strutturale imponente e dei risultati top sul campo. Tra i due aspetti, quale preferisce?

«Abbiamo trovato la filosofia giusta: avere successo ma pagandolo in modo serio e solido. Ci siamo riusciti, una quindicina di anni fa il club valeva 750 milioni, adesso 2,6 miliardi. Per me, da primo a.d. dopo la trasformazione societaria del 2002, è stata anche una scommessa: io giocavo a pallone, non ero laureato in economia. Pian piano ho capito come un club va gestito. Siamo stati un esempio, non abbiamo comprato la luna, talvolta ci siamo autolimitati, ma valeva la pena: siamo indipendenti, abbiamo successo e non abbiamo perso soldi nemmeno per la pandemia».

Come sarà l’uscita dalla sede: all’americana con i cartoni in mano, alla latina con un briciolo di commozione o alla tedesca finto freddo?

«No, non sarà così. Ho deciso di smettere sei mesi prima perché si partiva con una nuova stagione e Kahn, il mio successore, doveva iniziare con l’incarico dal primo luglio. Poi è il momento buono: abbiamo vinto 7 titoli, oggi il cielo è blu e c’è il sole: cosa vuoi di più. È l’ora ideale. E quando ci sarà una bella partita a San Siro, vorrei venire a vederla».