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Il CEO del Bayern Monaco, Karl-Heinz Rummenigge, ha parlato ai microfoni del Corriere dello Sport dell'emergenza coronavirus e delle consefuenza econonmiche che sta avendo sul mondo del calcio: "Siamo dentro una crisi globale. Globale e spaventosa. Qui in Germania non abbiamo ancora i numeri dell'Italia, ma il livello di attenzione adesso è altissimo. La gente è molto disciplinata, da due settimane le restrizioni sono simili alle vostre, possiamo uscire per motivi di lavoro e per fare la spesa".
Però, a differenza nostra, avete ripreso ad allenarvi.
"Eravamo fermi dall'8 marzo, ultima partita quella con l'Augsburg in casa. Da tre giorni ci alleniamo a gruppi di quattro o cinque, rispettando i protocolli sanitari, ma in precedenza i nostri avevano seguito le indicazioni del tecnico sostenendo dei cyber-allenamenti. Delle videocall, tutti i giocatori collegati, durante le quali il preparatore atletico segnalava gli esercizi da fare. Novanta minuti di lavoro per volta".
Ripartite davvero il 9 di maggio?
"È tutto provvisorio. Il dg della Lega ha formulato delle ipotesi, prospettato degli scenari, qui l'organizzazione è molto importante. Ma le date non le decide il calcio, bensì la politica. Esattamente come in Italia. Non sappiamo ancora se riprenderemo al 100 per cento il 9 maggio. Sappiamo però che è necessario ricominciare. Per due motivi. Il primo è quello sportivo. Bisogna assegnare il titolo, sapere quali squadra parteciperanno alle coppe, chi retrocederà. Il secondo, non meno importante, è economico. Anche da noi le televisioni che trasmettono le partite hanno forte incidenza sui ricavi. Devono ancora versare l'ultima rata, e in particolare con Sky, la principale, il dg della Lega sta trattando le condizioni. Sappiamo che pagheranno, ma intorno al 15 ci sarà un altro check. Bisogna innanzitutto capire come evolve la situazione. Aspettiamo soltanto la luce verde del governo. Disciplina e sensibilità sono i nostri punti di forza".
Oltre alla riconosciuta solidità economica, naturalmente, anche se in Germania ben tredici club non se la passano bene.
"In questo momento la differenza non la fanno i bilanci, la fa il cash. Al Bayern siamo tra quelli messi meglio e quindi abbiamo maggiori possibilità di sopravvivere alla crisi, ma tanti club, anche i più importanti, sono in grossissime difficoltà. Il calcio negli ultimi dieci anni ha vissuto ben oltre le proprie possibilità, alzando costantemente i costi. Transfer, ingaggi. Sempre più su, su, su. Troppe società hanno accumulato debiti insostenibili assumendosi da sole tutti i rischi. Il Bayern ha una filosofia che non ha mai rinnegato: sul mercato abbiamo sempre pagato in contanti, con soldi nostri, senza accedere a prestiti, nessuna banca può vantare crediti con noi. L'operazione più costosa della nostra storia è l'acquisto di Lucas Hernàndez, 80 milioni l'estate scorsa. E non siamo certo un club che non vuole vincere. Lo stadio è il nostro valore più alto, l'abbiamo pagato in sette anni, ci è venuto a costare poco meno di 400 milioni. È una benedizione".
La squadra ha accettato un taglio del 20 per cento.
"Nessuno ha imposto percentuali, posto condizioni o altro. Tutti noi, manager, dirigenti, tecnici e giocatori abbiamo scelto di ridurre del 20 per cento lo stipendio di aprile per garantire che non fossero toccati quelli degli impiegati, di tutto il personale che lavora nel club. Non c'è stata discussione. Altre società della Bundesliga hanno fatto la stessa cosa. Non escludo che il taglio possa interessare altri mesi. Ne riparleremo. Oggi bisogna fare sacrifici soprattutto per rendere possibile e sostenibile il futuro. Ripeto: c'è grande sensibilità, tanta consapevolezza. E tantissima disciplina".
Soltanto noi italiani noi riusciamo a fare sistema.
"In Italia ho giocato tre anni, ho ancora tanti amici, soprattutto in Lombardia, la regione più colpita. Noi tedeschi siamo diversi, abbiamo un'altra cultura, un'altra formazione, ma non è detto che siamo migliori di voi. Semplicemente diversi, non migliori".
Infantino sta studiando un piano Marshall per il calcio.
"Mi auguro che intervenga in modo sostanzioso per aiutare le leghe attraverso un fondo di solidarietà. Deciderà lui chi assistere, determinante è che i soldi non finiscano nelle mani sbagliate. In questa fase sarebbe importantissima la riduzione delle distanze politiche tra Fifa e Uefa, che sono la madre del calcio mondiale e l'organizzazione più importante. Infantino e Ceferin dovrebbero migliorare le loro relazioni per sostenere insieme l'intero sistema. Io sono stato presidente dell'Eca per dieci anni, adesso c'è Andrea Agnelli che lavora per contrastare una crisi imprevedibile ma che, se gestita con intelligenza, potrebbe risolversi in un miglioramento dello stato di salute del calcio".
Ne è davvero convinto?
"Penso che anche i club con consistenti liquidità, pochi peraltro, saranno molto più attenti a spendere. La contrazione dei prezzi e dei salari sarà inevitabile. Sono molto preoccupato per i Paesi più piccoli, per le leghe più piccole, per i club più piccoli che potrebbero subire danni irreversibili. Oggi i ricavi sono a zero per tutti".
Parlava di contrazione dei costi: sarà utile disciplinare anche il ruolo degli agenti, che sono a tutti gli effetti i mediatori tra club e giocatori.
"Dovranno cambiare le normative internazionali, la Fifa non può trascurare figure professionali che negli ultimi anni hanno assunto un ruolo sempre più rilevante e che in questo periodo stanno collaborando seriamente. Serve chiarezza e determinazione. La condivisione del rischio è fondamentale, soprattutto quando la crisi colpisce tutti".
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