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Che emozione dà esordire a San Siro con quelle due stelle sul petto?
«Nei bar di Milano l’atmosfera non è cambiata rispetto ai miei tempi: so bene cosa significhi essere arrivato prima del Milan, meritatamente aggiungo... Ripetersi non è facile, ma la squadra è forte e ha una ossatura che non è cambiata».
È cambiata la società, però: che la pare della nuova era marcata Oaktree?
«Non li conosco, il fenomeno dei fondi nel calcio è nuovo e risponde a logiche diverse rispetto a quelle a cui eravamo abituati. Zhang, invece, lo conoscevo: siamo stati insieme a una Oktoberfest e ricordo che aveva accusato la seconda birra... Ma la garanzia societaria resta sempre il mio amico Beppe (Marotta, ndr), l’acquisto più importante di questa epoca: basti pensare alla squadra che ha creato con i suoi collaboratori, a come gestisce la società. a quanto la Juve sia andata giù senza di lui. È il garante della transizione nel nuovo ruolo nuovo di presidente: dopo tanti affari insieme, posso dire che ci si può fidare».
Ma avrete litigato qualche volta sul mercato?
«Mai perché per lui basta una stretta di mano. Spesso i nostri interessi si sono incrociati, un giocatore che nella nostra squadra non andava nella sua sì, e viceversa. Pensate a Coman, chiuso alla Juve e decisivo per l’ultima Champions vinta dal Bayern. Gli ultimi sono stati Pavard che l’anno scorso voleva a tutti i costi fare il centrale e Sommer che rischiava di essere chiuso da Neuer: sono contento che entrambi a Milano abbiano fatto così bene».
Lei si rivede più in Lautaro o in Thuram?
«In Lautaro, è una punta che nei movimenti è simile a me, parte da lontano e poi colpisce in area. Non mi sono piaciute le critiche che ha ricevuto dopo il rigore sbagliato a Madrid: è un trascinatore, è decisivo: va sempre coccolato e fatto sentire bene».
È un altro Thuram rispetto ai tempi tedeschi?
«Anche al Bayern si è discusso molto di lui: ci interessava, poi è andato l’Inter, che ha fatto un gran colpo a zero. Dopo una stagione eccellente sembra addirittura cresciuto: segna, fa segnare, e si combina perfettamente con Lautaro. Quei due hanno un feeling evidente, sono difficili da “leggere” per ogni difesa: non stanno fermi a centro area, si muovono, non danno punti di riferimento. Sono una delle coppie più imprevedibili d’Europa e a loro si è aggiunto adesso anche Taremi».
L’unico tedesco in squadra è un 23enne in crescita: come è Bisseck visto dalla Germania?
«Era relativamente sconosciuto, ma lo sto seguendo con molta attenzione. Si vede che l’Inter ha pescato bene ancora una volta: la differenza la fa spesso la competenza nel riconoscere il talento prima degli altri. A Milano sono bravi in questo».
È vero che volevate portare Calha in Baviera?
«Solo speculazioni, quel ruolo al Bayern è coperto tra Palinha, Laimer, Kimmich e Pavlovic. Non era necessario aggiungere un giocatore così importante perché Calha, ormai, è a un livello top. Lo abbiamo visto anche all’Europeo».
Lei è un uomo dal respiro internazionale: pensa che Inzaghi sia pronto per una esperienza estera?
«Dipende da lui e da come parli l’inglese: padroneggiare la lingua è decisivo, me ne sono accorto ai tempi del Trap al Bayern: non riusciva a incidere come voleva proprio per la difficoltà nel comunicare. Al netto di tutto, però, Inzaghi ha sorpreso in positivo: è stato perfino discusso, ma ha dimostrato di essere un allenatore di livello europeo. Ha vinto uno scudetto storico e quasi la Champions: io a Istanbul contro il City c’ero, bastava giusto un po’ di fortuna...».
A proposito, la nuova formula renderà più complessa una sorpresa come l’Inter due anni fa?
«Perché sorpresa? L’Inter va messa sempre tra le big. In passato le squadre migliori si qualificavano spesso in anticipo, mentre stavolta tutte dovranno battagliare fino alla fine. Questo aumenta lo spettacolo».
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