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La storia nerazzurra di quest’anno riporta la memoria a quello che veniva chiamato lo “scudetto dei record”: 1988/89, allenatore Trapattoni, 58 punti quando la vittoria ne valeva due e la Serie A composta da diciotto squadre. Quella Inter aveva preso il fantasista algerino Madjer, detto “il tacco di Allah”, che però non superò le visite mediche. In fretta e furia venne rimpiazzato dall’argentino Diaz, che pure aveva un altro ruolo: rapido e guizzante, spalla ideale per il fisicato Aldo Serena. Coppia perfetta, ma smontata nel giro di qualche mese perché era stato prenotato un altro attaccante, Klinsmann, per rimodellare l’attacco. Per la cronaca, che serva da insegnamento per i narratori di ultima generazione, Jurgen Klinsmann era più giovane, costava molto di più e guadagnava il doppio di Ramon Diaz. Tutti parametri difettati, perché poi la prova tecnica e l’armonia tattica evidenziarono un peggioramento passato alla storia del calcio, non solo interista. La storia è fatta di coincidenze anche fortunate. Non c’è nulla di male, né tolgono qualcosa al merito. Anzi, diventano aneddoti meravigliosi da ricordare.
Sfogliando le pagine della memoria, proprio Marotta racconta di fine secolo scorso, quando dirigeva il Venezia e viaggiava in direzione Milano per prendere un centrocampista bravo ma senza fantasia: Federico Giunti dal Milan. Tutto fatto, a parole, ma all’improvviso l’affare salta. In ansia perché rischia di tornare a mani vuote dall’allora irascibile presidente Zamparini, Marotta si salva perché fa uno “stop and go” in autogrill per rispondere a un numero anonimo. Non è un call center: è l’Inter che offre gratis Recoba, basta farlo giocare. Così, anziché un ordinato centrocampista centrale di quantità, il buon Marotta prende un disordinato fantasista di qualità. Il Venezia era ultimo. Alla fine si salva. Con i gol di Recoba e senza il regista che cercava sul mercato.
L’Inter di quest’anno è fortissima, ben costruita e benissimo allenata. Ma nasce anche dalle opportunità successive a due tradimenti improvvisi e che sembravano quasi irreparabili. Infatti arrivano il campione del presente (Pavard) e il prospetto del futuro (Bisseck) solo grazie a Skriniar che giocherella con il rinnovo del contratto e la fascia da capitano, salvo poi scegliere Parigi. L’arrivo di Thuram è invece legato a Lukaku, il tradimento che più ha appassionato e avvelenato sotto l’ombrellone (“sotto l’ombrellone” fa molto vintage, proprio come “tradimento” riferito al calcio…). Il figlio d’arte, Thuram appunto, è una splendida intuizione del direttore sportivo Ausilio, che lo coccola da “parametro zero”, vince il derby dell’ingaggio con il Milan e quindi suggerisce a Inzaghi di trasformarlo da generosa ma sterile seconda punta a centravanti fornitore di assist e gol. Aggiornamento riuscito, oggi. Ma non l’altro ieri, perché durante l’estate l’Inter va a caccia di un attaccante vero e ci prova con tutti: Morata, Scamacca, Balogun, guarda caso Taremi appena preso a parametro zero e perfino Choupo-Moting, fino a pagare dieci milioni al Bologna per il trentaquattrenne Arnautovic.
Ricordate qual era il gran colpo del mercato nerazzurro, quello strappato alla concorrenza di Napoli, Roma e Juventus? Sì, Frattesi. Proprio lui. È stato valutato più di 30 milioni ma finora ha giocato - peraltro molto bene - solo pochissime partite da titolare. Andrà all’Europeo e sarà punto di forza in azzurro con Spalletti. Il giocatore c’è, l’investimento anche. Ma non è un “parametro zero”, sta in panchina, rendeva di più quando era allenato da Dionisi, ha un ottimo monte ingaggi personale e tutto il resto. Finisce qui la risposta ragionevole sulla narrazione malevola. Tanto, più che le parole, resta il bello del calcio che si gioca in campo, non su un foglio excel. E per fortuna le squadre non si fanno con l’intelligenza artificiale, né si spiegano con la malafede naturale. Proprio l’Inter ne è la dimostrazione", si legge.
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