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Sconcerti: “In Italia senza un’idea. I soldi hanno cancellato i confini. Il calcio oggi…”

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Dalle colonne del Corriere della Sera, Mario Sconcerti analizza le difficoltà del calcio italiano in campo internazionale

Gianni Pampinella

Dalle colonne del Corriere della Sera, Mario Sconcerti analizza le difficoltà che il calcio italiano sta riscontrando da qualche anno a questa parte. "Uno dei misteri più profondi del tempo è cosa sia successo al calcio italiano, da dove arrivi l’impossibilità di vincere ancora. Chiariamo subito che il titolo europeo della scorsa estate non riesce a fare statistica. Trenta giocatori competitivi, una nazione di sessanta milioni di persone li troverà sempre. Ma appena allarghi lo spettro tendiamo a scomparire. Non c’è in realtà una spiegazione comune convincente".

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"Bisogna allora forzare i confini del luogo comune. Punto primo: la diversità del calcio italiano è sempre stato essere un ponte tra il grande football sudamericano e quello nord europeo. Oggi è in crisi tutto il Sud America, quindi siamo oggi il ponte sul niente. Resta solo il modello nord europeo, che non è più un modello atletico ma di ricchezza. I soldi hanno cancellato i confini, oggi il grande calcio è mescolanza, l’insieme dei migliori di qualunque razza. La metà dei giocatori inglesi è di origine africana".

"L’Italia ha ancora poca mescolanza, gli africani che arrivano sono seconde scelte. Questo porta a un altro problema, la nostra nuova povertà. Non possiamo più permetterci i migliori né abbiamo la possibilità di scegliere per primi. Nessuno scopre più nessuno. Tutti conoscono. È sempre soltanto una questione di prezzo. Resta un problema molto italiano: perché non siamo più produttori di buon calcio? Perché non nascono più campioni? Dove si fermano? Come prima causa, abbiamo perso la nostra identità. Ci siamo vergognati di un calcio all’italiana".

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"Oggi giochiamo come la Spagna venti anni fa, dieci prima di Guardiola. E lo chiamiamo calcio moderno. In sostanza siamo disorientati. Amiamo non la ricerca del gol, ma la ricerca di un pertugio tra venti uomini per provare ad arrivare in porta. Non abbiamo più un’identità, una frase nostra. Abbiamo trovato il banale e l’abbiamo chiamato progresso. Conclusione: noi non siamo né i più fisici né i più tecnici. Il calcio è semplice come un’idea semplice. Ma un’idea nostra bisogna pur averla".

(Corriere della Sera)

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