"Per Gianni Brera, Corso era soltanto il participio passato del verbo correre, qualcosa che non gli apparteneva. Brera non amava gli artisti, gli sembravano delle auto-definizioni, parole senza senso compiuto. Lui si definiva un principe della zolla, era dalla terra nuda che tutto doveva nascere. Ma su Corso sbagliava, come sbagliò su Rivera". Apre così l'articolo di Mario Sconcertisulle colonne del Corriere della Sera in merito alla scomparsa di Mario Corso, ex pilastro della Grande Inter, all'età di 78 anni.
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Sconcerti ricorda Corso: “Divino ed esatto: oggi farebbe la differenza nell’Inter e…”
Il giornalista, sul Corriere della Sera, ricorda Mario Corso
ATLETA - "Corso era anche un atleta, lento, ma fisicamente duro. Non riteneva di aver bisogno di correre, ma non era facile spostarlo. Guardate le fotografie dell’epoca, vedrete muscoli da mezzofondista. Dicevano che era atipico ed era quello il primo errore. Non si è atipici se si giocano più di cinquecento partite in serie A e si segnano 104 reti. Un umorale forse, come Platini, ma non un atipico. Corso era un trequartista puro, ruolo che allora non c’era, stava nascendo dalle parti di Rivera ma non era capito", continua poi Sconcerti.
TALENTO - Sconcerti, poi, spiega perché Corso sia stato così determinante: "In realtà Corso è stato uno dei giocatori migliori che l’Italia abbia mai avuto. Certe sue invenzioni le ha avute solo Maradona. Discontinui sono tutti i giocatori quando vivono cercando il colpo diverso. Perché non sempre viene e nel frattempo perdi tempo. Ma Corso era sempre dentro il campo, vittoria dopo vittoria, spesso decideva lui. Era un titolare fisso nonostante Herrera non lo sopportasse perché era il cocco della signora Erminia Moratti, aveva paura gli parlasse male di lui. Eppoi Herrera era un sofista elettrico, Mariolino un epicureo, non erano nati per capirsi. A ogni apertura di mercato Herrera faceva la lista dei partenti e la dava a Moratti. Al primo posto sempre Corso. Moratti aumentava lo stipendio a Herrera e si teneva Corso. Ma anche Herrera se lo teneva e lo faceva giocare sempre. Ma quale discontinuo. Era divino ed esatto, un giocatore straordinario che non aveva bisogno di correre quanto gli altri, faceva correre il pallone. Oggi farebbe la differenza nell’Inter, nella Juve e in Nazionale".
NAZIONALE - "E nel suo cuore lento aveva anche carattere. Quando Giovanni Ferrari lo escluse dai convocati per il Mondiale in Cile nel 1962, in fondo a una partita di notte in cui dette spettacolo, Corso lo andò a cercare sotto la tribuna e lo mandò a quel paese col gesto dell’ombrello. Non fu mai più chiamato. Questo è coraggio, è dignità. Sapeva di avere ragione lui. Peraltro l’Italia in Cile andò malissimo".
INTER - "Corso era inerzia, pigrizia, esattezza. Una presa in giro. Mi dispiace veramente sia morto in silenzio. Il poco che era la Nazionale di allora non ne ha fatto un giocatore di tutti, solo degli interisti. Ma Corso era infinito e divisivo, era il faro che non vuole essere visto, aveva dentro Coppi e Bartali insieme, l’intera valigia del calcio che portava senza avvertirne il peso, irraggiungibile. Quando nel 1970 andò via Suarez se ne ebbe la conferma. Corso scalò in regia, aveva ormai trent’anni, era completo. E l’Inter riprese a vincere".
MEMORIA - "Il calcio non ha quasi mai memoria, si ricorda solo quello che si vede. Tanti ragazzi mi scrivono per chiedermi se davvero Baggio sia stato come Zico. Ne dubitano, non lo conoscono. Nel calcio vince l’ultimo che ha fatto gol. Per Corso spero avvenga l’opposto. Merita un posto che non gli abbiamo mai dato. È stato limitato dai luoghi comuni di una critica che era l’unica allora ad avere diritto di parola. Ma se riusciamo a capire che è stato decisivo come Pirlo e maligno come Platini, forse gli rendiamo la giustizia che merita".
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