Quel era la sua dote migliore?
«Aveva una tecnica sopraffina e una grande potenza di tiro. Ed era intelligente: solitamente giocatori così li trovavi a centrocampo, invece lui era in fascia».
Oggi si direbbe che Brehme era un giocatore moderno per quei tempi.
«Assolutamente. Per me fu una lieta novità scoprirlo in allenamento. Era un fuoriclasse e bastava poco per intendersi. Lui aveva capito i miei movimenti, io avevo imparato in base alla sua postura dove avrebbe crossato, se sul primo o sul secondo palo. In poche settimane compresi che era un giocatore di caratura superiore».
Che ragazzo era fuori dal campo?
«Amava ridere e divertirsi stando in compagnia. Fare gruppo. Era semplice e gioviale. Aveva le stigmate da fenomeno, ma non le faceva pesare come altri con atteggiamenti di un certo tipo. Era una persona del popolo, ma un fuoriclasse in campo».
Il primo ricordo di Andy?
«Al termine del primo giorno di ritiro estivo a Varese, dopo cena, lui e Lothar Matthaus mi invitarono in camera per conoscerci meglio. Non ci capivamo perché non parlavamo la stessa lingua, ma dall’armadio tirarono fuori una serie di barattoli di birra e iniziammo a socializzare».
Serena, si può dire che lei sia stato fortunato con i terzini sinistri...
«Sì, non ho giocato con Facchetti o Nilton Santos, poi c’è stato Roberto Carlos, però io ho avuto il piacere e la fortuna di giocare con Cabrini, Brehme e Maldini, tre nell’Olimpo del calcio».
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