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Serie A, segno “x” sempre meno presente in schedina: ecco perché… Boninsegna dice la sua

Il pareggio è un risultato sempre meno frequente nel campionato italiano: questo è quanto spiegano le statistiche raccolte dal Corriere della Sera

Alessandro De Felice

Il segno "x" in schedina è sempre meno frequente. Questo è quanto si apprende dall'edizione odierna del Corriere della Sera, che spiega come il campionato attuale, almeno per il momento, sia storicamente quello con il minor numero di pareggi.

IL PERUGIA DEI TANTI PAREGGI - "È il 1978-79, al Milan di Liedholm va lo scudetto della stella ma alla fine per tutti il vincitore morale è il piccolo Perugia di Speggiorin e Della Martira che a forza di pareggi, 19 su 30, due su tre, si piazza secondo. «E se non ci avessero rotto il centravanti Vannini, fidatevi, avremmo vinto noi» resta ancora convinto Ilario Castagner, oggi 76 anni, allenatore di una squadra che in qualche modo fu anche una sintesi di quel calcio là dove a una vittoria corrispondevano due punti e molto era diverso, a partire da una regola che comportava inevitabilmente un diverso atteggiamento dei protagonisti".

CONFRONTO CON L'EUROPA - "Altro mondo, altro pallone. Ma se quella resta la stagione con il maggior numero di segni X dal 1929 in qua, 45%, quella in corso vanta il dato opposto: 20,3%. Nella serie A 2016-17 finisce cioè in un «nulla di fatto» solo una partita su 5, per la precisione è successo 40 volte su 197. Un crollo vero e proprio, verticale, visto che nel 1996-97 — quando già c’erano i tre punti e quindi per tutti era molto più conveniente puntare alla vittoria — il dato percentuale si attestava sul 33%, cioè si chiudeva sul pari una gara su tre. Quello attuale è peraltro il dato più basso di tutta l’Europa che conta: in Liga i pareggi sono al 27%, in Francia e in Germania al 26, 22 in Premier. Siamo quindi noi ora quelli «del tutto o niente»".

DA BUONSENSO A PAURA - "«Le ragioni sono molte ma la principale ovviamente è il passaggio ai tre punti — dice Roberto Boninsegna, che nella citata stagione 1978-79 c’era ed era già passato alla Juve dopo l’epopea interista —. A quei tempi a un quarto d’ora dalla fine spesso capitava che si guardasse in faccia con gli avversari e, senza bisogno di dire un parola, ci si intendesse. Nessun accordo, figuriamoci, io provavo a vincere fino all’ultimo secondo, però soprattutto in trasferta a un certo punto non potevi non ragionare sul fatto che un punto era la metà di due, quindi che pareggiare non era poi così grave. Era un meccanismo mentale, ma non è solo quello, c’è altro. Allora il pari era conseguenza spesso del buonsenso, oggi della paura: pareggia solo chi deve andare avanti un passetto. E basta guardare la classifica attuale per capire che non servirà molto per lasciarsi alle spalle le ultime tre»".

TROPPO FORTI E TROPPO DEBOLI - "Il concetto è chiaro: con la lotta retrocessione ormai quasi compromessa a 18 partite dalla fine, chi galleggia a metà classifica se la gioca più disinvoltamente, senza grossi calcoli di convenienza, perché tanto il pericolo non è immediato, non è vicino. Empoli, Palermo e Crotone insieme fanno la miseria di 28 punti, più o meno (26) quelli del Cagliari oggi decimo in classifica: l’ennesima conferma del fatto che 20 squadre continuano a essere un’enormità. Rispetto a quel 1978-79 sono quattro in più e il risultato è un torneo molto meno livellato, con squadre troppo forti e altre troppo deboli".

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