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3) L’orgoglio non basta a regalarci una domenica felice: ci sono anche i rimpianti. Ci si aspettava una sorta di Fort Apache: i possenti azzurri all’assalto, gli intimiditi nerazzurri arroccati in difesa. Non è andata così, come abbiamo visto. I mancuniani non erano così forti, i milanesi non così spaventati. Il risultato brucia — un golletto, tre occasioni in totale per il City — ed è un bruciore che a Roma e a Firenze conoscono. Ognuno si scotta a modo suo, certo. Ma bruciarsi in finale è meglio che bruciare nei gironi, anime perdute nell’inferno calcistico.
4) Appunto: l’Inter ha perso la finale, ma intanto ci è arrivata. Battendo il Milan in semifinale, oltretutto. Capisco che i cugini rossoneri e i rivali bianconeri gongolino, oggi. Ci sta. Non ho mai creduto all’ecumenismo dei telecronisti e al «bisogna tifare le squadre italiane!». Piccoli sadismi, magre consolazioni, battute dolcemente feroci. Il calcio è umano, troppo umano, avrebbe detto Nietzsche (non è il vice-allenatore del Bayern, come pensano quei milanisti che ancora non sanno scrivere «Mkhitaryan» — sì, quello).
5) Avevo scritto che, per spuntarla a Istanbul, l’Inter avesse bisogno di cinque L: lungimiranza, leggerezza, lampi, letizia, LuLa. È mancata quest’ultima, purtroppo. O, almeno, non ha reso quanto avrebbe potuto. Il calcio è semplice: gli attaccanti devono fare gol e i portieri devono parare. Peccato che il ritrovato Lukaku e lo splendido Lautaro se ne siamo dimenticati, per una sera; mentre Ederson, guardiano della porta del City, se n’è ricordato. Aiutato dalla fortuna: e torniamo al punto 1".
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