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Severgnini: “Le sfumature del Morattismo, un fenomeno inimitabile…”

Francesco Parrone

I presidenti delle squadre italiane sono una categoria antropologica ben definita. Protagonisti diversi tra loro, buoni e meno buoni, astuti o irruenti, ma tutti ritagliati e riconoscibili come personaggi cinematografici. Cellino (Cagliari) e...

I presidenti delle squadre italiane sono una categoria antropologica ben definita. Protagonisti diversi tra loro, buoni e meno buoni, astuti o irruenti, ma tutti ritagliati e riconoscibili come personaggi cinematografici. Cellino (Cagliari) e Galliani (Milan) potrebbero sbucare in un film di Tarantino, e non sarebbero dalla parte dei poliziotti; Preziosi (Genoa), Zamparini (Palermo) e Lotito (Lazio) sono pronti per Sorrentino; De Laurentiis per una pellicola di De Laurentiis (il secondo imporrebbe dure condizioni al primo).

Massimo Moratti? Protagonista di un film francese, ovviamente, un film pieno di rughe e sigarette, dove un uomo non più giovane si strugge per qualcuno o qualcosa. La cessione della società all’indonesiano Erick Thohir — nome e luoghi esotici, l’Inter mica poteva finire in Svizzera — non è la fine di un amore. Ma è, senza dubbio, la fine di una storia: la struggente relazione tra Massimo Moratti e l’Internazionale FC. Perché il morattismo è finito ieri, anche se MM dovesse rimanere presidente. Ma sarebbe una presidenza onoraria, bonipertiana, un premio alla carriera più che un volante tra le mani. Perché Moratti è un uomo di mondo e lo sa: il volante spetta a chi mette la benzina.

Ho raccontato l’interismo tra il 2000 (disastro) e il 2010 (trionfo), e sono consapevole dei legami col morattismo. Una combinazione di autoironia e malinconia, passione e pazienza, attesa e euforia. Le immagini di Moratti, solo, in tribuna rossa a San Siro sono quadri di Guttuso offerti al pubblico pagante di Sky Sport e Mediaset Premium. L’uomo ha sofferto, speso e vinto molto (vediamo chi saprà ripetere il Triplete). Ha voluto bene a campioni irriconoscenti (Vieri, Ronaldo, Ibrahimovic, Eto’o, Balotelli). Ha intrapreso iniziative belle e sottovalutate come Inter Campus, che ha portato gioia — e i colori giusti — tra tanti bambini nel mondo. Nero e azzurro, mare di notte e cielo di giorno, sono la rappresentazione cromatica del morattismo: una passione fatta di umori alterni e convincimenti eterni, un attaccamento bulimico e ciclotimico, un amore talvolta sfinito ma continuo, personale e familiare insieme. 

Tanto Massimo coltiva le sfumature, quanto la moglie Milly ama i colori accesi: lei vede il tramonto nell’alba, lui l’alba nel tramonto. MM ha saputo, in questi diciotto anni, essere molte cose. Ieratico («Il sistema Moggi era come un’assicurazione»); filosofico («Un ricco deve avere un complesso di colpa perché deve pensare a quanto sta male tanta gente nel mondo»); politico («Per me è difficile vedermi di sinistra, sono petroliere, proprietario di una squadra di calcio, quello tra i presidenti che spende di più... Ma la gente mi considera di sinistra»). Le citazioni morattiane potrebbero riempire molti volumi; le opinioni su di lui — non tutte lusinghiere — un’enciclopedia.

Leale e abitudinario nei rapporti di lavoro, s’è trovato spesso sballottato tra i propri umori e quelli della piazza. Lo sanno bene gli allenatori, ognuno dei quali è convinto d’aver capito tutto del personaggio. Ma si sbagliano, tutti: perché neppure Moratti ha capito bene se stesso. Ho l’impressione che sia rimasto stupito, talvolta, davanti alle proprie decisioni (il reclutamento di Lippi e Tardelli, il perdono a Mourinho e Leonardo, i modi dell’addio a Zaccheroni e Stramaccioni). Ma sono convinto che ricorda, e rifarebbe, quasi tutto: il morattismo non prevede l’oblio. «A parte che gli anni passano, per non ripassare più», riassume Luciano Ligabue. La canzone — magnifica—si chiama «Niente paura», e sembra un perfetto saluto: da Moratti agli interisti, e da noi a lui. Cosa c’è da temere? Ci siamo da 105 anni (mai andati in B!) ed esploreremo anche questo mare indonesiano, come vecchi marinai di Conrad.