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Lei ha giocato nella serie A degli anni d’oro. Quasi trent’anni dopo, come è visto da fuori il calcio italiano?
«Diverso, sicuramente. C’erano giocatori speciali: Baggio, Mancini, Baresi, Pagliuca. Oggi mancano i campioni. La mia sensazione è che il problema non siano gli stranieri, ma gli stranieri scarsi. Ne avete troppi».
Ha ricominciato ad allenare.
«Sono felice allo Schaffhausen, volevo tornare nel calcio. Il mio sogno è arrivare in Germania o in Italia. Magari all’Inter. Non subito, devo ancora crescere, ma un giorno chissà. Sarebbe come chiudere un cerchio».
Che ricordo ha di quella stagione? Prevalgono i rimpianti?
«Tutt’altro. Solo tanti ricordi belli: il terzo posto, il debutto a Udine con gol. E l’orgoglio di aver giocato in una squadra leggendaria».
Lei ancora oggi è ricordato anche per la scena del film di Aldo Giovanni e Giacomo. Le dà fastidio?
«E perché? È un film bellissimo, fra i più famosi del cinema italiano. Essere citato in quella scena mi riempie di orgoglio. L’ho rivista un sacco di volte. Ne vado fiero».
Lei è stato fra i primi calciatori professionisti a parlare apertamente di depressione, invitando chi ne soffre a chiedere aiuto.
«Sì, venti o anche solo dieci anni fa era considerata una vergogna. Niente di più sbagliato. Quando allenavo il Grasshoppers, ho deciso di fermarmi per quasi due anni. Avevo paura. Del fallimento, della vita, di morire di infarto per via della pressione. Oggi a 54 anni sono un uomo più forte. E sogno l’Inter».
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