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Nel corso di un'ampia intervista concessa a Repubblica, Salvatore Sirigu ha parlato di alcuni temi delicati, partendo però da Donnarumma
Donnarumma ha fatto bene a lasciare il Milan?
«Il calcio è sfida. La sua scelta può essere impopolare, però San Siro con la Spagna era lo stadio della Nazionale: perché fischiare un protagonista dell’Europeo? Mi sarei aspettato altrettanti applausi. E se hanno contribuito i social, forse è meglio pensare con la propria testa».
Lei è un No Social?
«Sì, non ne sento l’esigenza. Non sono contro, se ponderati, ma nello spogliatoio sento cose che non capisco: me le devo fare spiegare e a volte sono sciocchezze clamorose. La vita è ben altro. I social sono un accessorio. Se ci vivi dentro, quando te ne accorgi non sai gestire il mondo vero».
Pullulano i No Vax, anche tra i calciatori.
«Io rispetto ogni opinione, ma ho in mente la risposta di mio padre, che ha avuto il Covid e crede nella scienza, quando gli hanno chiesto se non avesse paura del vaccino: “Posso mai dire, con tutti i medicinali presi nella mia vita, che il vaccino può farmi male?”. Io ho avuto il Covid ad aprile, qualche lineetta di febbre, ma appena ho potuto mi sono vaccinato. Un anno fa avevo perso un cugino di mia madre e il padre del mio migliore amico: se n’è andato in dieci giorni, prima stava bene. Chi ha perso un proprio caro, senza nemmeno poterlo salutare, avrebbe dato un braccio per il vaccino».
Altro tema scabroso: il razzismo.
«È un atto di coraggio denunciare i razzisti nel proprio stadio: altrove girano la testa. Senza enfatizzare deve diventare normale punire chi ha sbagliato. L’hanno fatto a Firenze e a Torino, è l’inizio della strada giusta».
L’orgoglio dei piccoli cozza contro la Superlega: Ibra lamenta che i calciatori non siano stati interpellati.
«Stravolge così tanto il nostro mondo che è normale guardarla con diffidenza. Ma i club promotori avevano esigenza di un diverso sistema di sostentamento: qualcosa in futuro cambierà, per sostenere certi costi. È vero che si dà troppo per scontata l’adesione dei calciatori, ci vorrebbe più interazione: in campo non ci va chi fa le regole e i tanti infortuni possono cambiare una stagione.
Servono i giusti tempi di recupero».
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