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Sul razzismo negli stadi e sugli spalti Zlatan Ibrahimovic ha una teoria, ma soprattutto una soluzione: "Il tifoso vuole sempre disturbare il campione, ovvio non è bello per chi lo subisce. Non è solo un problema italiano, capita in tutto il mondo. L'importante è rimanere mentalmente forti e concentrati, nonostante gli insulti. Per risolvere questo problema bisogna essere inflessibili. Fermare il gioco per 3 minuti e poi farti tornare in campo non è la risposta. Sono anni che succede e non si risolve nulla. Per esempio, l'episodio con Balotelli o Koulibaly: sospendi la partita, e la squadra avversaria perde a tavolino. Punisci fino in fondo. Mettere la maglia "No al razzismo" e sventolare la bandiera "No al razzismo" è bello, ma non risolve il problema. Meglio togliere tre punti, sospendere la partita e perdere l'incasso, così rischi di andare in serie B. Devi essere severo, la gente non capisce fino a quando non paga le conseguenze".
Anche Ibra è stato oggetto di razzismo: "Da ragazzino ero timido, ma allo stesso tempo testardo e arrogante. Sono sempre stato diverso dagli svedesi: naso grande, capelli neri, mi muovevo in modo diverso, parlavo in modo diverso. Ero emarginato, sempre da solo contro tutti. Quando uno faceva un gol io dovevo segnarne 10 , perché solo così venivo accettato. E poi, sì, ci sono tanti modi per disturbare i giocatori. Quando ero in Italia mi gridavano "Zingaro!". È razzismo anche quello, ignoranza, anche se poi quando mi vedono fuori dallo stadio mi fanno i complimenti e vogliono farsi una foto con me".
(GQ)
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